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L'UDIENZA DEL PAPA

«Padri, siate presenti e fermi con i figli, non buonisti»

Nell’udienza generale Papa Francesco ha presentato la seconda parte della sua riflessione sulla figura del padre. Nella prima parte, aveva attirato l’attenzione sulla «società senza padri». In questa seconda parte ha voluto parlare deii padri «presenti», mettendo in guardia contro certi eccessi di buonismo. 

Ecclesia 04_02_2015
Papa Francesco

Nell’udienza generale del 4 febbraio 2005, nel quadro del ciclo di catechesi dedicato alla famiglia, Papa Francesco ha presentato la seconda parte della sua riflessione sulla figura del padre. Nella prima parte, lo scorso mercoledì 28 gennaio, il Papa aveva attirato l’attenzione sul dramma contemporaneo della «società senza padri» (clicca qui). In questa seconda parte ha voluto «guardare piuttosto all’aspetto positivo» dei padri non assenti, ma «presenti», mettendo in guardia contro certi eccessi di buonismo. Francesco ha affermato che un buon padre «deve punire in modo giusto» quando è necessario, e ha lodato un padre argentino che qualche volta doveva «picchiare un po’ i figli … ma mai in faccia per non avvilirli».

La paternità, ha detto il Pontefice, non è mai facile. Perfino san Giuseppe «fu tentato di lasciare Maria, quando scoprì che era incinta; ma intervenne l’angelo del Signore che gli rivelò il disegno di Dio e la sua missione di padre putativo; e Giuseppe, uomo giusto, “prese con sé la sua sposa” (Mt 1,24) e divenne il padre della famiglia di Nazaret». San Giuseppe c’insegna così che «ogni famiglia ha bisogno del padre». Lo sapeva dall’Antico Testamento, dove poteva leggere per esempio nel Libro dei Proverbi queste belle parole di un padre al figlio: «Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio, anche il mio sarà colmo di gioia. Esulterò dentro di me, quando le tue labbra diranno parole rette» (Pr 23,15-16). «Non si potrebbe esprimere meglio», commenta Papa Francesco, «l’orgoglio e la commozione di un padre che riconosce di avere trasmesso al figlio quel che conta davvero nella vita, ossia un cuore saggio». 

Perché questo padre è saggio? Perché sa che non può essere uguale al figlio, e che il figlio non può essere uguale a lui. «Questo padre non dice: “Sono fiero di te perché sei proprio uguale a me, perché ripeti le cose che dico e che faccio io”». Invece, «gli dice qualcosa di ben più importante, che potremmo interpretare così: “Sarò felice ogni volta che ti vedrò agire con saggezza, e sarò commosso ogni volta che ti sentirò parlare con rettitudine. Questo è ciò che ho voluto lasciarti, perché diventasse una cosa tua: l’attitudine a sentire e agire, a parlare e giudicare con saggezza e rettitudine. E perché tu potessi essere così, ti ho insegnato cose che non sapevi, ho corretto errori che non vedevi. Ti ho fatto sentire un affetto profondo e insieme discreto, che forse non hai riconosciuto pienamente quando eri giovane e incerto. Ti ho dato una testimonianza di rigore e di fermezza che forse non capivi, quando avresti voluto soltanto complicità e protezione. Ho dovuto io stesso, per primo, mettermi alla prova della saggezza del cuore, e vigilare sugli eccessi del sentimento e del risentimento, per portare il peso delle inevitabili incomprensioni e trovare le parole giuste per farmi capire. Adesso – continua il padre –, quando vedo che tu cerchi di essere così con i tuoi figli, e con tutti, mi commuovo. Sono felice di essere tuo padre». 

Il Papa traduce la scarna formula del Libro dei Proverbi in un discorso più articolato e psicologicamente complesso, che rimane però fedele allo spirito del testo biblico: «è così ciò che dice un padre saggio, un padre maturo». È facile? No. «Un padre sa bene quanto costa trasmettere questa eredità: quanta vicinanza, quanta dolcezza e quanta fermezza». Però, «quale consolazione e quale ricompensa si riceve, quando i figli rendono onore a questa eredità! É una gioia che riscatta ogni fatica, che supera ogni incomprensione e guarisce ogni ferita». In contrasto con il «padre assente» evocato nell’udienza precedente, Francesco ha descritto le caratteristiche del «padre presente». È «vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze». E «vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente, sempre». 

Attenzione, però. «Dire presente non è lo stesso che dire controllore! Perché i padri troppo controllori annullano i figli, non li lasciano crescere». Conosciamo l’espressione di Gesù secondo cui solo Dio, il Padre che sta nei cieli, a rigore può essere chiamato veramente “Padre buono” (cfr Mc 10,18)». Non c’è qui nessuna svalutazione dei padri umani, ma un richiamo a un modello altissimo, che è poi lo stesso del padre del figliol prodigo nella nota parabola. «Quanta dignità e quanta tenerezza nell’attesa di quel padre che sta sulla porta di casa aspettando che il figlio ritorni! I padri devono essere pazienti. Tante volte non c’è altra cosa da fare che aspettare; pregare e aspettare con pazienza, dolcezza, magnanimità, misericordia». La storia del figliol prodigo mostra che «un buon padre sa attendere e sa perdonare, dal profondo del cuore». Il Papa mette però in guardia da ogni interpretazione buonista della parabola. Il buon padre «sa anche correggere con fermezza: non è un padre debole, arrendevole, sentimentale. Il padre che sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi. Una volta ho sentito in una riunione di matrimonio un papà dire: “Io alcune volte devo picchiare un po’ i figli … ma mai in faccia per non avvilirli”. Che bello! Ha senso della dignità. Deve punire, lo fa in modo giusto, e va avanti».

Il Padre Nostro, ha concluso il Papa, sembra proprio scritto per «chi vive in prima persona la paternità. Senza la grazia che viene dal Padre che sta nei cieli, i padri perdono coraggio, e abbandonano il campo. Ma i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno; e il non trovarlo apre in loro ferite difficili da rimarginare». La Chiesa, che è madre, «è impegnata a sostenere con tutte le sue forze la presenza buona e generosa dei padri nelle famiglie, perché essi sono per le nuove generazioni custodi e mediatori insostituibili della fede nella bontà, della fede nella giustizia e nella protezione di Dio, come san Giuseppe».