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IL NUOVO BEATO

Padre Marella, quando la carità salva

Il 4 ottobre è stato beatificato a Bologna padre Olinto Marella, sacerdote e terziario francescano che si ispirava al Poverello d’Assisi. Sospeso a divinis per 16 anni, riuscì a sbarazzarsi del risentimento scegliendo la via della carità. Riabilitato al sacerdozio, aiutò bambini abbandonati, ebrei, soldati. Ai poveri dava tutto e si offrì a Dio “affinché ogni uomo veda la Tua gloria”

Ecclesia 20_10_2020

Per il mondo cattolico il 4 ottobre è la festa di san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, mentre per Bologna è la festa del suo patrono, san Petronio. Lo scorso 4 ottobre (una domenica), però, del Poverello di Assisi è stata fatta memoria anche a Bologna durante la cerimonia di beatificazione di don Olinto Giuseppe Marella (1882-1969), perché a lui si era sempre ispirato questo sacerdote, terziario francescano, dalla lunga barba bianca, figlio spirituale di san Pio da Pietrelcina, a cui un po’ assomigliava, e a sua volta padre spirituale di santa Gianna Beretta Molla, che sostenne negli ultimi giorni di vita.

In una Piazza Maggiore gremita al massimo di quanto il Covid potesse permettere, con un tempo incerto (che però ha retto), l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, in veste  di delegato pontificio, ha presieduto e  concelebrato con  i vescovi della regione od originari dell’Emilia Romagna, e il vescovo di Chioggia (alla cui diocesi appartiene Pellestrina, dove don Marella era nato e aveva operato come sacerdote), la cerimonia che ha dichiarato Beato questo “Eroe della Carità”. Il quale è morto  nel capoluogo emiliano - dove era già considerato santo - a 87 anni, il 6 settembre del 1969, “giorno nel quale da ora in poi se ne farà  memoria”, come ha precisato il cardinal Zuppi, che ha pure ricordato la sottomissione e l’obbedienza di padre Marella, come veniva chiamato da tutti, a una Chiesa che, con durezza, l’aveva per 16 anni sospeso a divinis (con il divieto di accostarsi all’Eucarestia in diocesi), reo di aver dato ospitalità a un ex compagno di seminario, scomunicato perché vicino alle idee del modernismo.

Tale terrificante punizione provocò nel sacerdote ventisettenne - che allora viveva nell’isola di Pellestrina, dove era nato da una famiglia abbiente - una sofferenza atroce. Ma come ebbe dire al futuro Giovanni XXIII (che, quando era ancora Angelo Roncalli, era stato suo compagno di corso all’Istituto Superiore di Studi Ecclesiastici a Roma e che gli rimase sempre amico): “...l’orgoglio e il risentimento dominavano il mio animo; me ne sbarazzai a fatica. La strada della mia salvezza fu la carità, mentre l’orgoglio mi avrebbe perduto, la carità mi ha salvato”. E, per essere onesti, della Carità, padre Marella non è stato solo un eroe, ma soprattutto un martire e un santo.

Arrivò nel capoluogo emiliano nel 1924, come insegnante di storia e filosofia nei licei classici cittadini. Sempre qui, l’anno dopo, padre Marella otterrà dal cardinal Giovanni Battista Nasalli Rocca la riabilitazione al Sacerdozio e avrà l’incarico di occuparsi dei più diseredati, cosa che aveva sempre comunque fatto in tutta la sua vita e anche nel periodo della sospensione a divinis.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, poi, padre Marella aprì l’appartamento di Bologna, che divideva con la madre, a decine di bambini abbandonati, a ebrei e soldati italiani fuggiti dai rastrellamenti tedeschi, mentre faceva la spola in bicicletta con paesi a decine di chilometri da Bologna dove nascondeva e nutriva altre persone in pericolo. Finita la guerra, per continuare a sfamare tutti i bisognosi che si rivolgevano a lui, padre Marella non solo dava loro l’intero stipendio, ma andava nei mercati a raccogliere gli scarti di cibo buttati e poi, andato in pensione dall’insegnamento, trascorreva lunghe ore anche al gelo all’angolo fra via Orefici e via Drapperie, dove ora c’è una lapide che lo ricorda, seduto su uno sgabello con un vecchio cappello sdrucito sulle ginocchia in attesa di ricevere le offerte dei ricchi bolognesi, che andava ad aspettare, con lo stesso cappello e sgabello, anche fuori dai teatri cittadini.

Fu coscienza di “una città sazia e disperata”, dove trascorse gli ultimi 45 anni della propria esistenza, vincendo innumerevoli premi Bontà. Padre Marella, uomo coltissimo e poliglotta, traduttore del Vico e inventore di un metodo didattico che porta il suo nome, per dare un futuro ai più giovani, per cui è veramente un padre, fondò alle porte di Bologna la Città dei Ragazzi, dove con i suoi progetti innovativi diede “lavoro, istruzione, fede e speranza” a tanti giovani diseredati.

Oggi l’Opera di padre Marella, la cui fama a oltre cinquant’anni dalla sua morte non si è mai minimamente affievolita, continua a occuparsi di persone non solo indigenti, ma con problemi di droga, alcool e altre dipendenze: “Serviti di me e del mio Ministero o Signore, Padre onnipotente affinché ogni uomo veda la Tua gloria, ritrovi la gioia della Fede e della Speranza, si santifichi con la Carità: così aveva scritto padre Marella e, a quanto pare, Dio l’aveva preso in parola.