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SANTA MARIA IN SABATO

Padre e Sposo "sui generis"

San Giuseppe è patrono di lavoratori, economisti, falegnami e quant'altro. Ma il maggior merito di questa straordinaria figura del Vangelo è stata conferire "messianicità" a Gesù in quanto diretto discendente di Davide.

Editoriali 18_05_2013
Gesù Bambino e San Giuseppe

Parlando di Maria non si può prima o poi non parlare di Giuseppe “sposo” e “padre” in quella famiglia di Nazareth sicuramente esemplare ma anche unica nella sua eccezionalità. Ci fornisce occasione per farlo la recente ricorrenza del 1 maggio che, come sappiamo, non è più soltanto la festa del lavoro ma anche la festa di San Giuseppe, nella sua veste di patrono dei lavoratori.

Non dimentichiamo però che, nel giorno dell’Immacolata del 1870, Pio IX aveva già proclamato san Giuseppe patrono della Chiesa universale. E che, accanto a questi “incarichi” ufficiali ne esistono altri non meno impegnativi per questo santo, il quale viene considerato anche il patrono della “buona morte”. Mentre mi dicono che sia abitudine assai praticata e diffusa tra gli economi e i gli amministratori di tante comunità religiose ed ecclesiali ricorrere a San Giuseppe (e pare con risultati pratici talvolta  davvero sorprendenti) nei momenti di gravi e impellenti difficoltà finanziarie.

C’è da rallegrarsene, naturalmente. Tuttavia, ho il dubbio che in tutto questo fiorire di devozioni, centrate soprattutto su aspetti particolari – e che nella sua umiltà certamente san Giuseppe non disdegna – si rischi di annacquare quella che è invece la centralità e l’importanza di questa figura nella storia della salvezza.

Cerchiamo allora di ritornare per un attimo alle origini di tutta la vicenda e di calarci nei panni di questo giovane uomo ebreo, il quale si trova all’improvviso coinvolto in una storia inaudita. Maria, sua promessa sposa, riceve e accetta la proposta divina di diventare, per opera dello Spirito Santo, la madre del Messia, dell’atteso di Israele. Ha così inizio la sua gravidanza, esperienza spirituale sicuramente esaltante ma non certo scevra di complicazioni a livello umano. Come parlarne a Giuseppe, il futuro sposo? Quale sarà la sua reazione? Sarà egli in grado di capire e accogliere quanto è avvenuto? E poi, anche ammesso che egli comprenda, quale sarà d’ora in poi il suo ruolo nei confronti di questa giovane donna incinta del Figlio di Dio e di quel bambino che nel grembo verginale sta assumendo la sua fisionomia di uomo?

Problemi chiaramente non di poco conto. I vangeli, lo sappiamo, non precisano come Giuseppe abbia appreso la notizia della maternità di Maria. Se cioè sia stata ella stessa a parlargliene oppure se lo abbiano fatto i genitori di lei (Gioachino ed Anna, secondo i nomi della tradizione).  O  se invece sia stato Giuseppe stesso ad accorgersi dei cambiamenti nel corpo della promessa sposa. Quel che sappiamo è che ad un certo punto la gravidanza  di Maria gli diventa nota ed egli si trova ad affrontare  una grave tempesta interiore. Gli esegeti sono divisi sui contorni precisi di questo turbamento: dubita egli forse della fedeltà di Maria? Oppure, proprio perché crede al racconto della Annunciazione angelica, pensa di farsi da parte, turbato dal grandioso mistero che tale racconto sottende, nel quale egli non riesce a capire quale parte debba giocare?

Se i Vangeli non ci forniscono tali particolari, essi tuttavia ci fanno conoscere l’essenziale. E ciò che è Dio stesso ad intervenire per illuminare questo “giusto” turbato e confuso, facendogli sapere anzitutto che ciò che sta avvenendo in Maria è opera divina alla quale egli è chiamato a partecipare attivamente. Come? Anzitutto, prendendo presso di sé come sposa colei che sta per diventare Madre del Messia, proteggendola, come marito agli occhi di tutti, consentendole dunque di portare a termine in modo tranquillo quel compito al quale era stata chiamata. Poi, cosa forse ancor più importante, imponendo al bambino il nome di Gesù. Cioè a dire: riconoscendo come proprio il figlio di quella che era a quel punto la sua legittima sposa. 

E se ricordiamo che Giuseppe apparteneva alla stirpe di Davide e che le profezie avevano predetto che proprio da essa sarebbe sorto il Messia, tutto ciò, alla fine, doveva  servire a dimostrare che in quel bambino esse si erano avverate. La messianicità di quel neonato era infatti garantita proprio da quel passaggio giuridico indispensabile: Gesù è figlio di Davide, perché lo è Giuseppe, del quale egli è a sua volta legalmente il figlio. Anche soltanto da questi brevi richiami credo ci sia possibile capire come Giuseppe non sia affatto una figura secondaria nel grande avvenimento della nascita del Salvatore. Ma, al contrario, come vi abbia svolto una parte vera, positiva, importante, inferiore solo a quella di Maria.