Padova, sulle orme di Antonio
La Basilica del santo più venerato al mondo è frutto di varie ricostruzioni succedutesi sul primo nucleo, la chiesetta medievale di Santa Maria Mater Domini. Oltre ai diversi stili architettonici, da vedere è la Crocifissione, di Altichiero.
La fede genera bellezza. Seguiamone, allora, i testimoni la cui passione per Cristo ha inevitabilmente modificato i luoghi del loro passaggio, consegnandoci, nella maggior parte dei casi, autentici capolavori. Dopo Francesco guardiamo, dunque, ad Antonio, divenuto frate francescano nel 1220, avendo prima indossato l’abito agostiniano nella sua terra natale, il Portogallo. Morì giovanissimo a soli 36 anni e, caso unico nella storia ecclesiastica, fu canonizzato entro un anno dalla sua morte.
E’ il santo più venerato al mondo e dal 1946 Dottore della Chiesa. Riposa nella sua Arca circondata da altorilievi che ne raccontano i miracoli, in una cappella della grande Basilica a lui intitolata, simbolo della città di Padova di cui è Patrono.
Sull’area dell’odierno complesso, frutto di varie ricostruzioni, Tito Livio sostiene ci fosse un tempio dedicato alla dea Giunone: certamente nel Medioevo vi sorgeva la chiesetta di Santa Maria Mater Domini, primitivo nucleo della Basilica, accanto alla quale, forse proprio da Antonio, fu fondato il convento. L’aspetto esterno, nella sua imponenza, è sintesi di diversi stili combinandosi, in perfetto equilibrio, la romanica facciata a capanna, il gotico dei contrafforti e degli archi rampanti, le cupole bizantine e i campanili gemelli simili a minareti. Un tempo la lunetta sopra il portale centrale era l’affresco del Mantegna raffigurante S. Antonio e San Bernardino adoranti il monogramma di Cristo, ora conservato nell’attiguo convento e sostituito da una copia.
L’ampio spazio interno è a croce latina con tre navate e gallerie superiori che corrono lungo le pareti. La zona presbiteriale rapisce subito lo sguardo del visitatore, catturato dall’altare maggiore, ultima versione delle molteplici che si sono susseguite nei secoli. Quello attuale è opera di Camillo Boito (1895) che schiera uno di fianco all’altro, su due livelli, tutti i bronzi che Donatello realizzò per l’altare a lui commissionato tra il 1446 e il 1453, successivamente smembrato, di cui si è persa la struttura architettonica. Doveva trattarsi di una Sacra Conversazione tridimensionale, ovvero di statue di santi disposti attorno alla Vergine con il Bambino: invece i rilievi, la cui disposizione originaria è di difficile e controversa ricostruzione, raccontano quattro Miracoli del Santo in scene affollate sullo sfondo di grandiose architetture, mentre il quinto pannello maggiore, l’unico in pietra calcarea, è una concitata Deposizione di Cristo, forse pensata per il lato posteriore della sacra mensa. L’intervento di Donatello, cui si deve anche il monumento equestre del Gattamelata all’ esterno della Basilica, rappresenta senz’altro uno dei momenti più significativi del Rinascimento, non solo nostrano.
Di grande impatto è anche la Crocefissione che Altichiero dipinse nella Cappella di San Giacomo nel transetto destro sulla parete di fondo, scandita da tre arcate (1376-1379). Particolarmente drammatica, grazie alla plasticità delle figure e all’attenzione alla concretezza del dato reale, questa scena è forse il capolavoro di Altichiero, in cui alcuni riconoscono il più grande pittore della seconda metà del Trecento italiano, affiancato, in questa occasione, da Jacopo Avanzi che lo aiutò nello storie di San Giacomo, tratte dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Qualche anno più tardi (1382) Giusto dei Menabuoi affrescò interamente la Cappella del Beato Luca Belludi con scene della sua vita ed episodi legati agli apostoli Filippo e Giacomo cui un tempo questo spazio era dedicato.
La visita si completa con l’accesso al trecentesco oratorio di San Giorgio e ai quattro chiostri, dove si può entrare, solo se accompagnati dai frati della Basilica o da personale autorizzato.