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L’analisi

Paderno e la responsabilità dell’omicida, criteri per discernere

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Cosa si può dire, sotto il profilo morale, del delitto di Paderno Dugnano? Innanzitutto c’è un elemento oggettivo: un triplice omicidio, un atto abominevole. Poi va valutata la responsabilità, in base alle condizioni oggettive e soggettive. Il dovere dei giudici. E il giudizio ultimo.

Vita e bioetica 13_09_2024
Funerali vittime triplice omicidio Paderno Dugnano (foto LaPresse)

Torniamo sul triplice omicidio di Paderno Dugnano. C’è chi dice che bisognerebbe buttare via la chiave e lasciare marcire in galera il ragazzo, autore della strage, per il resto dei suoi giorni; altri dicono che è necessario tenere in considerazione la giovane età, altri che una tale brutalità può essere spiegata solo presupponendo una malattia mentale, altri infine che ammoniscono dal tracciare giudizi affrettati perché la psiche umana è pressoché insondabile.

Tentiamo di analizzare il caso sotto il profilo morale. Innanzitutto occorre distinguere l’elemento oggettivo di una condotta da quello soggettivo. Il primo è il “che cosa” si compie. Nel caso di Paderno: il triplice omicidio. Il secondo fa riferimento alla responsabilità, detta anche imputabilità, ossia alla possibilità di riferire all’autore la bontà o la malvagità dell’azione, quindi rispettivamente di riferire all’agente il merito o il demerito, cioè la colpa per aver commesso un dato atto.

In merito alla responsabilità occorre distinguere due momenti. Il primo: la venuta ad esistenza della responsabilità. Perché si possa riferire a Tizio la responsabilità di un dato atto occorre che Tizio abbia voluto quell’atto (intenzione) e che sia cosciente del valore o disvalore dell’atto. È pressoché certo che il ragazzo autore della strage volesse compiere quel triplice delitto e che fosse cosciente della gravità del suo gesto.

Una volta appurato che la responsabilità c’è, occorre verificare quanto grande o piccola essa sia. In altre parole esistono delle circostanze che possono graduare sia il merito che la colpa, rendendoli più marcati o meno marcati. Queste condizioni sono delle più varie. Per esemplificare ricordiamo: l’oggetto dell’atto (un triplice omicidio rende la colpa di Riccardo C. elevatissima); i motivi che spingono ad un’azione (i cosiddetti fini remoti): lo stato di oppressione e il senso di estraneità verso il mondo denunciati da Riccardo C. accentuano la sua responsabilità, di certo non la affievoliscono. Poi abbiamo le circostanze in cui è calato l’atto, che si possono dividere in oggettive e soggettive. Riguardo alle prime e facendo riferimento al nostro caso possiamo menzionare il numero di omicidi compiuti, ben tre; la relazione familiare che legava vittime e carnefice; la condizione specifica in cui si è compiuta la strage caratterizzata da impreparazione delle tre vittime dettata dal rapporto di fiducia verso Riccardo (le vittime erano quindi forzatamente imbelli); i mezzi e le modalità dell’atto: le plurime coltellate sferrate con ferocia e crudeltà e la sequenza repentina con cui sono avvenuti i tre omicidi. Tutte condizioni che aggravano la responsabilità del ragazzo.

Passiamo alle condizioni soggettive, condizioni che possono acuire o stemperare la responsabilità. Citiamo ad esempio le abitudini contratte: quali vizi o virtù, quali inclinazioni si erano incardinati in Riccardo? L’età: l’omicida è sì giovane, ma non giovanissimo e comunque 17 anni sono un’età sufficiente perché si abbia una piena imputabilità del ragazzo. Gli stati mentali: la difesa giocherà molto probabilmente su questo fattore per asserire che Riccardo nel momento in cui ha compiuto la strage non era perfettamente lucido e che la sua salute mentale era ed è precaria. Vedremo cosa diranno le perizie a tal proposito. L’educazione ricevuta: davvero era la famiglia perfetta oppure l’omicida è cresciuto in un contesto nascostamente violento e oppressivo? La prima condizione renderebbe più colpevole Riccardo, la seconda, invece, meno colpevole sul piano morale.

Le condizioni oggettive e soprattutto quelle soggettive sono pressoché infinite nel numero. Non solo: ognuna di esse incide in modo particolarissimo sulla responsabilità soggettiva. Ad esempio: quanto ha inciso l’educazione ricevuta? E gli incontri fatti? E l’uso dei social? Impossibile rispondere con assoluta precisione. Questi due dati – il numero infinito di condizioni che influenzano la libertà e il loro peso nel determinare l’azione – ci spingono a concludere che non potremo mai conoscere alla perfezione il grado di merito e di colpa di una persona che ha compiuto una certa azione. E dunque, appurato che Riccardo è responsabile della strage, non potremo mai sapere perfettamente quanto sia responsabile. Solo Dio lo sa, nemmeno Riccardo stesso. Ecco spiegato il senso del monito di Gesù di non giudicare gli altri.

Però attenzione: la mancanza della possibilità di formulare un giudizio perfetto sulla responsabilità di una persona non significa che il giudizio sia sicuramente errato e quindi non significa che, stante l’imperfezione del giudizio, ci dobbiamo astenere sempre dal giudicare la responsabilità soggettiva. Invece è legittimo e a volte anche doveroso giudicare le colpe o i meriti, seppur nella consapevolezza che il giudizio potrebbe essere fallace oppure giusto, ma non giustissimo. Da qui il dovere in capo ad alcune categorie di persone quali giudici, genitori, educatori, insegnanti, confessori, eccetera, di formulare un giudizio anche sulla responsabilità. Doveroso quindi – ed è banale ricordarlo – che i magistrati giudichino la responsabilità di Riccardo.

Tutto questo per dire che il ragazzo ha compiuto un atto abominevole, è colpevole e deve pagare duramente, ma dato che le condizioni interne ed esterne che lo hanno portato a compiere quel gesto non potranno essere comprese fino in fondo in modo perfetto, dopo aver lasciato il giudizio penultimo ai giudici, lasciamo il giudizio ultimo a Dio.



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