"Pace in Siria, lasciamoci sorprendere da Dio"
«Oggi domandiamo frutti di pace per il mondo intero, a cominciare dall’amata e martoriata Siria». Il Papa nel tradizionale messaggio pasquale per la benedizione “urbi et orbi” ha ricordato le tante situazioni di quella ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”. Poi sulla Pasqua: "L’annuncio di Dio è sempre accompagnato da una sorpresa".
«Oggi domandiamo frutti di pace per il mondo intero, a cominciare dall’amata e martoriata Siria». Il Papa nel tradizionale messaggio pasquale per la benedizione “urbi et orbi” ha ricordato le tante situazioni di quella ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”.
«In questa Pasqua», ha detto Francesco parlando della situazione in Siria, «la luce di Cristo Risorto illumini le coscienze di tutti i responsabili politici e militari, affinché si ponga termine immediatamente allo sterminio in corso, si rispetti il diritto umanitario e si provveda ad agevolare l’accesso agli aiuti di cui questi nostri fratelli e sorelle hanno urgente bisogno, assicurando nel contempo condizioni adeguate per il ritorno di quanti sono stati sfollati». Questi frutti di pace il Papa li ha invocati anche per la Terra santa, per tutto il Medio oriente e per l’Ucraina. Sono, invece, «frutti di dialogo» quelli auspicati per la penisola coreana e «frutti di consolazione» per il «popolo venezuelano». La fonte di questi frutti è da ricercarsi nell’annuncio di Pasqua: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!». Per questo «la morte, la solitudine e la paura non sono più l’ultima parola».
LASCIARSI SORPRENDERE DA DIO
Nell’omelia della messa del giorno di Pasqua, celebrata alle 10 sul sagrato della Basilica di San Pietro, il Papa aveva parlato dell’annuncio di Dio che è sempre accompagnato da una sorpresa. «Per dirla un po’ con il linguaggio dei giovani: la sorpresa è un colpo basso», ha detto Francesco pronunciando l’omelia a braccio. «Tu non te lo aspetti. E Lui va e ti commuove».
Di fronte all’annuncio sorprendente del sepolcro vuoto i discepoli corrono. «Le soprese di Dio ci mettono in cammino, subito, senza aspettare. E così corrono per vedere. E Pietro e Giovanni corrono». Di fronte a questa corsa, ha detto il Papa, noi dobbiamo chiederci se abbiamo «il cuore aperto alle sorprese di Dio, sono capace di andare di fretta o sempre con quella cantilena: “Ma, domani vedrò, domani, domani?”».
GRIDANO LE PIETRE
Sulle resistenze dei discepoli alle sollecitazioni del Maestro, Francesco ha centrato l’omelia pronunciata sabato durante la Veglia della notte santa. «Durante le ore difficili e dolorose della Passione, i discepoli hanno sperimentato in modo drammatico la loro incapacità di rischiare e di parlare in favore del Maestro; di più, lo hanno rinnegato, si sono nascosti, sono fuggiti, sono stati zitti». E anche oggi, ha detto, ci sono discepoli che restano ammutoliti «davanti a una realtà che gli si impone facendogli sentire e, ciò che è peggio, credere che non si può fare nulla per vincere tante ingiustizie che vivono nella loro carne tanti nostri fratelli», oppure quelli che “frastornati” dalla routine fanno «tacere la speranza».
«E in mezzo ai nostri silenzi, quando tacciamo in modo così schiacciante, allora le pietre cominciano a gridare (cfr Lc 19,40)[1] e a lasciare spazio al più grande annuncio che la storia abbia mai potuto contenere nel suo seno: «Non è qui. E’ risorto» (Mt 28,6). La pietra del sepolcro gridò e col suo grido annunciò a tutti una nuova via. Non è qui… E’ risorto! E’ l’annuncio che sostiene la nostra speranza e la trasforma in gesti concreti di carità».
VERGOGNA, PENTIMENTO E SPERANZA
La preghiera pronunciata dal Papa al termine della tradizionale Via Crucis al Colosseo del venerdì santo ha messo al centro tre parole: “vergona”, “pentimento” e “speranza”, tre atteggiamenti di fronte alla Croce di Cristo, segno supremo dell’amore di Dio.
I sentimenti di “vergogna”, come quelli che Francesco esprime «perché tante persone, e perfino alcuni tuoi ministri, si sono lasciati ingannare dall’ambizione e dalla vana gloria perdendo la loro dignità e il loro primo amore», sfociano nella richiesta della grazia del pentimento. Quello che «germoglia dalla certezza che solo tu puoi salvarci dal male, solo tu puoi guarirci dalla nostra lebbra di odio, di egoismo, di superbia, di avidità, di vendetta, di cupidigia, di idolatria, solo tu puoi riabbracciarci ridonandoci la dignità filiale e gioire per il nostro rientro a casa, alla vita».
Così può nascere la speranza, anche quella rappresentata da una Chiesa che è «santa e fatta da peccatori», ma «continua, ancora oggi, nonostante tutti i tentativi di screditarla, a essere una luce che illumina, incoraggia, solleva e testimonia il tuo amore illimitato per l’umanità, un modello di altruismo, un’arca di salvezza e una fonte di certezza e di verità».