Oxfam ci ricasca: nuovo scandalo di abusi sessuali
La "regina delle Onlus", rete di associazioni nata per assistere i poveri del mondo, Oxfam è di nuovo al centro di uno scandalo sessuale. Dopo che erano stati sospesi i fondi pubblici a lei destinati nel 2018 per motivi analoghi, Oxfam ci ricasca: dal 2018 al 2020 i funzionari avrebbero abusato di donne in Congo, col ricatto degli aiuti.
Oxfam, nata nel 1942 e rifondata nel 1995, è una confederazione internazionale di 20 organizzazioni no profit unite nella missione di combattere le disuguaglianze al fine di sradicare povertà e ingiustizie nel mondo distribuendo aiuti umanitari e realizzando progetti di sviluppo. “Un approccio femminista – si legge nel suo sito web – guida tutte le nostre analisi, le nostre azioni e le nostre interazioni. Pratichiamo tolleranza zero nei confronti di molestie, sfruttamento e abusi sessuali”.
Ma nel 2018 la “regina delle Onlus”, come qualche mass media l’ha soprannominata, è finita al centro di uno scandalo sessuale di vaste proporzioni che ne ha coinvolto anche i vertici. Ricostruendo i suoi interventi nel mondo e nel corso degli anni sono stati individuati numerosi casi di abusi e “comportamenti sessuali sconvenienti” dai dettagli, per dirla con le parole dell’allora primo ministro britannico Theresa May, “assolutamente raccapriccianti”. Le indagini hanno portato a 87 denunce, riguardanti soprattutto lo staff Oxfam impegnato in Ciad, nel 2006, accusato tra l’altro di invitare regolarmente delle prostitute nella propria sede, e diversi dipendenti operativi ad Haiti, dopo il terremoto del 2011, incluso il direttore stesso del progetto, Roland van Hauwermeiren, accusato di intrattenersi con prostitute locali nella villa affittata per lui dall’Onlus.
Prima che scoppiasse lo scandalo, Oxfam aveva ricevuto 31 milioni di euro dalla Commissione Europea e 32 milioni di sterline dal governo britannico. Quest’ultimo, in considerazione di quanto emerso, aveva deciso di sospendere i finanziamenti all’Onlus, subito seguito da migliaia di donatori, cosa che ha costretto i dirigenti di Oxfam a ridurre di 16 milioni il proprio bilancio.
L’esclusione dai finanziamenti governativi è durata tre anni. Solo il mese scorso Oxfam ha ottenuto il permesso di chiedere di nuovo fondi alla Gran Bretagna. Ma ecco che scoppia un nuovo scandalo sessuale, questa volta a causa del personale impegnato nella Repubblica Democratica del Congo. La scorsa settimana Oxfam ha rivelato di aver sospeso due dipendenti nell’ambito di una indagine avviata nel novembre del 2020. Ma c’è di più. A febbraio infatti cinque tra impiegati ed ex dipendenti di Oxfam hanno recapitato all’Onlus una lettera in cui rivolgono a 11 persone dettagliate accuse di sfruttamento e molestie sessuali, abusi, frodi, violazione di procedure di sicurezza e nepotismo. Gli autori del documento denunciano la lentezza con cui l’indagine viene svolta e la difficoltà di riferire i casi di cattiva condotta a causa di un clima generale ostile e sostengono di aver persino ricevuto minacce di morte.
L’impressione, oltre tutto, è che lo scandalo possa essere di proporzioni ben maggiori. Nel 2019 l’agenzia di stampa The New Humanitarian e la Thompson Reuters Foundation hanno raccolto informazioni sul comportamento tenuto dal personale internazionale intervenuto per contenere l’epidemia di Ebola scoppiata nell’est del Congo nel 2018 e terminata nell’estate del 2020. Le testimonianze hanno portato a denunciare di abusi e violenze sessuali dei dipendenti dell’Oms e di sette organizzazioni umanitarie, una delle quali è Oxfam. Il sospetto che degli operatori umanitari abusassero e sfruttassero delle donne era nato quando a Butembo, una delle città in cui erano stati allestiti i centri anti Ebola, un giornalista si era sentito dire da un corrispondente locale: “eh si che amano le nostre donne. Arrivano con i convogli militari per prelevare gli ammalati e curarli e per combinazione prendono sempre le donne. Tutti lo sanno, ma difficilmente le vittime saranno disposte a parlarne”. Alla fine a raccontare che cosa avevano subito sono state 51 donne.
Oxfam è presente in Congo dal 1961. Attualmente, spiegano i suoi portavoce, fornisce acqua potabile, servizi igienici e cibo a circa 700mila tra sfollati, rifugiati e comunità ospiti. Alcuni degli episodi di abuso sessuale denunciati risalgono al 2015 e potrebbero emergere fatti ancora più lontani nel tempo. Finora l’Onlus ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni limitandosi a dire che sono in corso indagini.
Nel 2018 Oxfam aveva sistematicamente insabbiato le denunce, anche in quel caso arrivando a minacciare i testimoni. L’accusa di insabbiamento era rivolta prima di tutto all’amministratore delegato, Mark Goldring, da tempo a conoscenza dei fatti. Goldring anzi aveva reagito dicendosi risentito per “l’intensità e la ferocia degli attacchi” alla sua Onlus. Secondo lui si stava ingigantendo e manipolando lo scandalo: “alla fine, che cosa abbiamo mai fatto? – aveva detto intervistato dal quotidiano The Guardian – mica abbiamo ucciso dei neonati in culla!”. Uccidere forse no, tanto meno dei neonati, ma le vittime dei comportamenti sessuali eufemisticamente indicati come “sconvenienti” sono per lo più donne e bambini e comunque persone totalmente dipendenti per cibo, alloggio, cure, sicurezza, spesso profughi che ripongono ogni speranza di sopravvivenza in chi li assiste. È difficile immaginare qualcosa di più ignobile che approfittarne fino al ricatto di esigere prestazioni sessuali in cambio di cibo e di altri beni primari.
Il Ministero degli Esteri e dello sviluppo britannico ha disposto che Oxfam non sarà autorizzata a chiedere contributi finanziari al suo Paese finché non avrà risposto delle nuove accuse: “ogni organizzazione che si rivolge alla Gran Bretagna per finanziamenti deve soddisfare degli alti standard di condotta e i recenti rapporti mettono in discussione la capacità di Oxfam di rispettarli”.