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DIVA ABORTISTA

Oui, je suis Catherine Deneuve, nonna ammazza bimbi

Oui, je suis Catherine Deneuve. Tutti la ricordano così, mentre scendeva sciccosa dall'auto nella pubblicità della Lancia Delta. Quella frase divenne un tormentone che le segnò per sempre la carriera. Oggi la sempre affascinante attrice ha superato i 70 anni e dalle auto è passata agli spot per l'aborto. Da brividi.

Cinema e tv 29_11_2014
Catherine Deneuve

Ricordate la sciccosa signora di Francia? Talleurino rosso di Chanel, sguardo ammaliatore, usciva da una Lancia Delta e si proponeva di tre quarti agli spettatori per dire soltanto, con esibita ma frettolosa spocchia: Oui, je suis Catherine Deneuve. Quella frase, pronunciata nel francese snob e arrotato dell’aristocratica rive gauche parigina, divenne subito un fortunato tormentone e ancora oggi, dopo trenta e passa anni, circola in forma di battute rivedute e corrette. Deneuve aveva già interpretato film impegnati e immemorabili (Les Parapluies de Cherbourg, Belle de jour, La mia droga si chiama Julie), lavorando con i più importanti registi italiani e francesi. Ma più che a Luis Buñuel, madame deve la sua fama a quello spot, allora si chiamava réclame, e ai quei due secondi di sublime recitazione.

Ancora oggi, quel je suis è una pietra miliare nella storia della cinematografia a scopo pubblicitario. Tanto che, qualche anno dopo, Catherine venne scelta per convincere gli italiani a portare sulle loro tavole solo purissima acqua minerale in bottiglia. Dalla benzina all’acqua, dall’avvocato Agnelli con il Rolex sopra il polsino al ruspante Giuseppe Ciarrapico, cavaliere e presidente della Roma, "a’ maggica": «Oui, je suis Catherine Deneuve, e bevo sempre acqua Fiuggi», la costrinsero a reclamare. Ma la classe, si sa, non è acqua e quello spottino non aveva niente a che vedere con l'originale.  

Vabbè, tracannare minerale con gas non era certo glamour e charmante come scendere da un’auto firmata Giugiaro, ma a cachet donato non si guarda in bocca. Sempre meglio, comunque, dello spot che l’altro giorno la ormai ultrasettantenne Deneuve ha recitato sul quotidiano La Repubblica, house organ della sinistra bon ton. Un articolo griffato in prima persona dall’ètoile per festeggiare il 40esimo anniversario della legge Veil, quella che legalizzò l’aborto in Francia. La bella Catherine, in quegli anni, era in prima fila tre le Marianne abortiste e firmò il celebre “Manifesto delle 343”: donne che confessavano pubblicamente di aver abortito nel 1971, quando la legge lo proibiva. Una sorta di Emma Bonino à la parisienne: in Italia la leader radicale praticava forsennatamente aborti clandestini servendosi di una pompa da bicicletta, in Francia la Deneuve firmava appelli e marciava in piazza, rivendicando il diritto all'amore libero e senza l'onere del figlio. Sempre con molto glamour ed eleganza, il va sans dire.

Su Repubblica (l’articolo è in realtà ripreso dall’Huffington Post France), la fu top model ricorda quegli anni formidabili, perché, scribacchia, «il diritto all'aborto ha favorito in maniera determinante la parità tra uomo e donna. Da quel momento, non ho potuto che rallegrarmi dei progressi di questa battaglia. Parlando della nostra professione, posso portare come esempio quello delle donne che, tra le altre figure, guadagnano sempre più accesso al mestiere di regista o di produttrice». Insomma, l’aborto come livella sociale: pareggia i conti con i maschi e apre folgoranti carriere in rosa tra i cinematografari. Particolare davvero inedito, questo, che nessun movimento pro-choice aveva ancora scoperto. L’interruzione di gravidanza in stile Hollywood: ciak si giri, che la facciamo abortire. 

Ma non è l’unica perla di cinismo à la carte che la Deneuve regala ai raffinati lettori repubblichini. Il resto è ancora peggio. Scrive, la disgraziata, che mettere in dubbio il diritto all’aborto è «un fatto gravissimo» e i movimenti per la vita sono «un’aberrazione». Quel che segue, poi, è un capolavoro di mattoide ideologia, rara dimostrazione di furto con scasso dell’umana intelligenza. «Sono convinta», fa sapere sua eleganza, «che in Francia non torneremo indietro rispetto a questo diritto acquisito perché le donne lo impediranno. È come se volessimo ripristinare la pena di morte: è impensabile». A tali livelli di furfanteria mentale, neppure il più radicale dei radicali era mai arrivato: l’aborto, cioè il bimbo fatto a pezzi o risucchiato da un’elettropompa, come antidoto al boia e alla ghigliottina. O viceversa: la sua abolizione come equivalente al ritorno della pena capitale. Follia d'alta classe, mica paglia.

E pensare che solo lo scorso anno in Francia ci sono stati più di 270mila aborti e altrettanti bimbi mai nati perché uccisi qualche mese prima di venire al mondo. Una fortuna per madame Deneuve così cieca e sorda (l’età non c’entra) che in questa mattanza degli infanti non vede il sangue e lo strazio di quelle vite innocenti. Anzi è «un progresso fenomenale» e indietro non si torna.  Ma la battaglia non è finita e la strada per la piena emancipazione femminile è ancora lunga. «Conciliare figli e lavoro, questa sarà la nostra sfida per l'eternità», conclude l’attempata suffragetta. Già, ma in Francia quanti figli ci saranno ancora da conciliare con il lavoro se le idee dell’abortista Deneuve avranno ancora più seguito? Pochini, anche ad avere a disposizione l’eternità. 

Svarioni da quarta età, furori vegliardi eccitati da degenerazione neurologiche questi della grand-mère Catherine? Ma no, la tarda età non ha colpe: a venticinque anni, su vita e dintorni la diva la pensava come oggi. E pensare che una così aveva l’impudenza di dare lezioni di moralità alle donne di Francia. Come quando, quattro anni fa, criticò furiosamente la première dame, Carla Bruni, per essersi schierata al fianco di Sakineh, la donna iraniana accusata di adulterio e condannata alla lapidazione dal regime degli ayatollah. La signora Sarkozy non  doveva lanciare appelli perché moralmente indegna e con un passato tutt’altro che «morigerato». Contro questo femminismo da osteria, pardon, da bistrot, i francesi mandare a farsi friggere la pseudo immacolata Santa Caterina della Lancia con un pernacchioso: “senti chi parla”. Come la Bruni pure la bionda era adultera, per giunta con figlio.

Forse c’era anche un poco di invidia in quello starnazzare velenoso contro donna dell’Eliseo e il sospetto che la bella Bruni l’avrebbe presto scalzata dal trono. Due anni dopo, infatti, Carlà le soffiava il posto di testimonial nella campagna Lancia della nuova Musa. Spot profetico e crudele: avanti la nuova star, al diavolo la vecchia carampana. Oggi le resta solo quel frusto ritornello, aggiornato in chiave abortista: oui, je suis Catherine Deneuve, la nonna ammazza bimbi.