Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L'INTERVISTA ALLA DOTTORESSA SPESSOT

«Ospedali affollati, ma più della metà va curato a casa»

Il governo giustifica un nuovo lockdown con gli ospedali che scoppiano. Ma metà dei ricoverati non è grave, devono essere curati a casa. La Bussola prosegue l'inchiesta sulla de-ospedalizzazione per uscire dalla pandemia. Il caso San Raffaele: «Su 50 pazienti in pronto soccorso, il 60% potrebbe essere curato a casa, il reparto si svuoterebbe e affronteremmo tutti più serenamente la seconda ondata». Il punto di caduta è sulla medicina del territorio: «Arrivano perché non ricevono diagnosi e cure tempestive, ma in pochi giorni guariscono». Parla il primario della Medicina d'Urgenza, dottoressa Spessot.

Attualità 02_11_2020

«Il 60% dei nostri pazienti covid non dovrebbe essere nel nostro ospedale, ma potrebbe ricevere cure in un contesto domiciliare o in un ospedale covid-dedicato». La dottoressa Marzia Spessot è  responsabile della Medicina d’Urgenza del San Raffaele di Milano. La sua testimonianza di medico sul campo e non sui riflettori dovrebbe aprire la politica a diverse considerazioni e obbligare le Regioni a ripensare in maniera diametralmente opposta il percorso di cura del Coronavirus: per i pazienti stessi, per il sistema sanitario nazionale e per il Paese che si troverebbe a gestire questa seconda ondata con meno ansia.

È un cane che si morde la coda, un meccanismo ormai in loop che non funziona e che va cambiato: siamo in una situazione di semi-lockdown perché il governo dice che gli ospedali scoppiano, e può essere vero, ma gli ospedali sono mezzi pieni di pazienti covid che potrebbero essere curati a casa. Ma sono per lo più pazienti che a casa non trovano adeguate cure dopo giorni di sintomi tra cui tosse e febbre. Così vanno negli ospedali che non possono fare altro che ricoverarli, gli ospedali a loro volta si riempiono e il governo legge questo dato come emergenza, da codice rosso. Infine, accende il campanello delle limitazioni sociali, dalla quarantena al lockdown.

Dottoressa, è un ragionamento un po’ troppo semplicistico, ma il senso è questo. Che cosa non funziona?
Guardi, il mio compito è curare, quindi mi limito a fotografare la realtà che ho sottomano e posso dire che tutti i giorni da metà agosto ad oggi, da quando cioè siamo rientrati dalle vacanze, ho dei contatti telefonici con amici, figli di amici, conoscenti: tutti, alla notifica di una positività hanno bisogno di rassicurazioni, informazioni e cure.

Chi dovrebbe darle?
Credo che debbano giungere da parte dei medici di Medicina generale, ma non mi chieda il perché non arrivino. Io dico solo che dopo un po’ di tempo vengono disperati da noi in pronto soccorso

Eppure, non dovrebbero essere lì?
Non so a chi spetti questo compito, però mi chiedo se le linee guida che abbiamo noi, non vengano trasmesse anche ai Medici di base.

Sono linee guida terapeutiche?
Sì.

Vediamo un po’ di numeri.
Allora, le dico i dati di oggi (venerdì 30 ottobre, pomeriggio ndr.).

Quanti posti avete in Pronto Soccorso?
Un centinaio.

E quanti sono attualmente occupati da pazienti Covid?
50.

Rispetto al totale dei ricoverati, quanto incide la presenza dei diagnosticati Covid?
Circa il 70%.

E questi 50 in che condizioni sono?
4 di loro hanno la CPAP (l’apparecchio o casco per la ventilazione non invasiva), presentano un tipo di gravità medio-alta. 16 sono pazienti che necessitano di ossigenoterapia a flussi medio alti e 30 hanno polmoniti lievi.

Che differenza c’è tra i casi medi e lievi?
Gli intermedi hanno un fabbisogno di ossigeno superiore al 40%, i lievi hanno un basso fabbisogno di ossigeno, inferiore al 30%.

Questi 30 potrebbero non essere ricoverati?
Esattamente. E il reparto si svuoterebbe del 60%.

E dove andrebbero?
Potrebbero ricevere un’adeguata terapia faramcologica e ossigenoterapia domiciliare attraverso le USCA o la medicina territoriale. Oppure, se mancano di contesti di care giver bisognerebbe creare per loro strutture ad hoc, cioè ospedali covid-dedicati dove non ci sono ulteriori specializzazioni.

Perché questa distinzione?
Perché vorremmo evitare di dove chiudere i reparti in ospedale per aprire reparti esclusivamente covid. Il personale è sempre lo stesso, come può immaginare. Ma così facendo andremmo incontro a un problema gigantesco sul fronte delle altre patologie.

Tumori, infarti, ictus?
Lavorando in medicina d’urgenza non ha idea di quante diagnosi di tumori ritardati e problemi cardiologici avanzati abbiamo fronteggiato in giugno e luglio per persone che non hanno ricevuto le cure cui avrebbero avuto diritto. I miei colleghi chirurghi quest’estate hanno dovuto fare gli straordinari.

Che cosa accadrebbe se questa quota di malati lievi, che è la maggioranza, fosse curata a casa?
Affronteremmo tutti questa seconda ondata in maniera più serena: noi dobbiamo continuare a curare tutta la popolazione, non solo quella che ha il covid. I grandi ospedali come il nostro o come il Niguarda sono centri di riferimento per varie patologie e non possono in nessun modo venir meno a questa funzione. Le conseguenze per la popolazione, anche a lungo termine potrebbero essere tragiche.

Che tipo di terapie farmacologiche somministrate?
Cortisone e eparina. La cura vale per tutti, cambiano i dosaggi.

Non usate farmaci immunomodulanti per regolare la risposta autoimmune del nostro organismo?
Utilizziamo con successo Anakinra, un farmaco ad azione immunosoppressiva che il San Raffale ha testato con successo e che blocca la tempesta infiammatoria. E poi il remdesivir.

I pazienti che si presentano anche con sintomi lievi vengono comunque già con una diagnosi di polmonite?
Non sempre, a volte la facciamo noi. Ma spesso hanno ritardi di diagnosi anche di dieci giorni. Eppure, i primi giorni sono giorni preziosi.

In genere quanto rimangono?
In pronto soccorso circa due/tre giorni, il tempo di svezzarsi dall’ossigeno e tornano a casa. Se questo non è possibile vengono ricoverati.

Quindi in terapia intensiva non avete casi?
Pochissimi, qui però vedo che ci sono dei comportamenti diversi.

In che senso?
Sento di pazienti messi in terapia intensiva, ma non intubati. Ad esempio, ho letto il caso di un giornalista famoso che è stato in rianimazione solo con l’ossigeno. Ma per l’ossigeno e basta non si va in terapia intensiva. I nostri anestesisti ci hanno insegnato a gestire le ventiulazioni non invasive (le CPAP) in Medicina normale.

Come se la spiega?
Non so, però mi chiedo se non si rischi in certi casi di intasare le terapie intensive anche con pazienti che potrebbero tranquillamente starne fuori.