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L'INTERVISTA/ STEFANO SCALETTA

Ora Israele si sente vulnerabile. In Medio Oriente cambia tutto

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L'attacco di Hamas del 7 ottobre è un evento cataclismatico unico nella storia di Israele. Mai si registrò un trauma di queste dimensioni, nemmeno nelle guerre arabo-israeliane. Ora in Medio Oriente cambierà tutto. Parla lo storico Stefano Scaletta, da Tel Aviv. 

Esteri 12_10_2023
Tel Aviv, funerale

“Questo attacco non ha precedenti nella storia di Israele. Il numero di morti, per ora arrivato a 1200 (ma è un bilancio che continua ad aumentare), uccisi in un giorno solo, non ha eguali. Non si è mai verificata un’atrocità simile in tutta la nostra storia”. Stefano Scaletta, storico, ci risponde da Tel Aviv. In Italia è conosciuto per la sua curatela del museo sulla storia della Brigata Ebraica che partecipò alla campagna d'Italia e aiutò gli ebrei europei a emigrare in Palestina. Studioso delle guerre israeliane, fin dalla nascita dello Stato ebraico (e anche prima, nel caso della Brigata Ebraica), ci conferma che quello a cui stiamo assistendo è un evento unico, non paragonabile ai conflitti mediorientali del passato.

Questa è la più grande tragedia nella storia israeliana?
Abbiamo una serie di momenti evocativi, ad esempio la strage degli atleti olimpionici nel 1972 a Monaco, oppure le guerre arabo-israeliane, o Entebbe. Ma nessuno eguaglia l’attacco del 7 ottobre, per magnitudine e violenza. Mai. Neanche nelle guerre. Nemmeno nello Yom Kippur del 1973, quando Israele venne invasa, si verificarono massacri deliberati di civili di queste proporzioni. Allora gli eserciti si scontrarono nel Sinai e sul Golan. E i caduti erano quasi tutti militari in servizio.

Che impatto sta avendo questo attacco sul governo israeliano?
Nel Medio Oriente, soprattutto nei confronti degli Stati che non lo hanno mai riconosciuta, l’arma usata da Israele è sempre stata la deterrenza. La forza del suo esercito serviva soprattutto a scoraggiare le aggressioni. Con l’attacco del 7 ottobre, il deterrente è stato scalfito. Non sappiamo ancora in che misura e in che modo evolverà la situazione, ma è già chiaro che Israele fa meno paura ai suoi nemici. E quindi mi aspetto, da parte del governo, azioni che vadano al di là delle risposte finora date ad altre aggressioni. Risposte sufficientemente forti da ripristinare la deterrenza.

Come è stata possibile una sorpresa simile?
Hamas è penetrato nella frontiera di Gaza in 80 punti differenti, sopraffacendo 11 basi militari ed eliminando la presenza dell’esercito israeliano nell’intero Sud del Paese. E non era una presenza da poco. Siamo risultati vulnerabili perché questo attacco è stato particolarmente efficace, ben pianificato, perché ha avuto appoggi importanti. Hamas, da solo, non avrebbe mai potuto organizzare un’operazione così complessa. Il sostegno più evidente è quello dell’Iran.

Quali sono gli indizi per sospettare un ruolo attivo dell’Iran?
Innanzitutto una vicinanza di intenti dichiarati. Questo è pubblico ed è evidente soprattutto negli ultimi anni. L’Iran si appoggia nella regione a gruppi paramilitari, come gli Houthi nello Yemen, Hezbollah in Libano e Siria e, appunto, anche Hamas a Gaza. Hamas non avrebbe mai potuto agire così su vasta scala, da solo, perché servono quadri. Dunque, non solo soldati, ma sottoufficiali e ufficiali che sappiano coordinare un’azione complessa. Serve anche una buona logistica. Tutte cose che Hamas non ha mai avuto. E dunque questo fa pensare a un coinvolgimento diretto dell’Iran e delle sue forze speciali.

I sistemi informatici israeliani sono stati hackerati prima e durante l’attacco. Cosa è successo?
Non è ancora possibile stabilire con certezza da dove provenisse il cyberattacco. Per ora si pensa a reti di hacker iraniani. Quel che è certo, però, è che Israele ha subito un massiccio attacco hacker nel momento in cui Hamas ha sfondato sul confine. Quindi era un attacco informatico coordinato con le operazioni di terra. L’esercito è stato colto di sorpresa, anche perché le difese elettroniche erano fuori uso. Per esempio, la recinzione, prima e dopo il muro del confine, dovrebbe essere dotata di sensori che segnalano la presenza di qualcuno che sta provando ad attraversarla. Il 7 ottobre, negli 80 punti di infiltrazione, questo sistema ha cessato di funzionare.

Ma a livello di psicologia popolare, ora prevale la collera o la paura?
Parlo da persona interessata dai fatti e posso dire che non vedo una differenza chiara fra la paura, l’incredulità e la collera. Di solito la sequenza è questa: prima prevale la paura, poi il disorientamento, quando non si sa ancora che cosa sta succedendo. Infine, una volta capita la situazione, inizia a crescere la collera. In questo caso, invece, la paura non ha lasciato il posto alla collera. Quello che è successo ha aperto una ferita nel cuore di una nazione intera che non si aspettava di essere così vulnerabile. E tuttora c’è il pericolo di essere ammazzati in casa propria. Continuo a ricevere notizie di militari israeliani che uccidono miliziani dentro i nostri confini. La paura per quello che potrà accadere nei prossimi giorni, soprattutto, determina uno stato di incertezza e di angoscia in tutto il Paese.