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I MARO'

Ora è tutto chiaro Girone è ostaggio, l'Italia in ginocchio

La solita italietta continua a coprirsi di ridicolo nella vicenda dei marò. Fonti del Ministero degli Interni hanno detto apertamente al quotidiano Economic Times of India che a Salvatore Girone non è stato concesso di tornare in Italia per trascorrere il Natale in famiglia perché rappresenta la garanzia per il ritorno in India di Latorre.

Editoriali 07_01_2015
Massimiliano Latorre

La solita italietta continua a coprirsi di ridicolo nella vicenda dei marò col risultato che e Nuova Delhi ormai ci prendono pure per i fondelli senza alcun ritegno. Fonti del Ministero degli Interni hanno detto apertamente al quotidiano Economic Times of India che a Salvatore Girone non è stato concesso di tornare in Italia per trascorrere le vacanze di Natale in famiglia perché rappresenta la garanzia per il ritorno in India di Massimiliano Latorre. «Il ministero dell'Interno aveva messo nero su bianco che l'istanza dello scorso dicembre presentata da Girone per una licenza natalizia in Italia dovesse essere fortemente criticata nell'udienza della Corte Suprema argomentando che la presenza di Girone in India era l'unica garanzia per il ritorno di Latorre», ha rivelato una fonte del governo. Dichiarazioni che la dicono lunga sulla sensibilità del governo nazionalista indù nella vicenda e di come consideri di fatto un “ostaggio” un militare italiano che in quasi tre anni non è riuscito a incriminare né a processare.

Le pressioni del ministero degli Interni, ora finalmente rivelate, spiegano l’atteggiamento assunto il 13 dicembre scorso dal presidente della stessa corte, H.L. Dattu, apparso subito «visibilmente in disaccordo con le richieste» (come ha sottolineato un report dell’Ansa) nonostante queste non fossero osteggiate dal rappresentante del governo indiano presente in tribunale. Dopo che la condizione di “ostaggio” di Salvatore Girone è stata ufficializzata occorre vedere cosa accadrà quando il 13 gennaio Massimiliano Latorre non farà ritorno in India anche perché ha appena subito un intervento chirurgico al cuore. Il governo Renzi manterrà l’impegno assunto dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, (che ieri ha visitato Latorre al Policlinico San Donato) a non rimandare il fuciliere di Marina a Delhi o piegherà la testa riconsegnando il marò agli indiani come già fece il governo Monti?  La posizione assunta dal Ministero degli Interni indiano contrasta anche con la supposta apertura da parte del governo Modi di quel "canale di confronto" con l’Italia di cui a onor del vero parla soprattutto Matteo Renzi sottolineando che «l'India è un Paese amico dell'Italia».  Un’amicizia che vede solo lui poiché le affermazioni del funzionario del ministero degli Interni indiano sgombrano il campo dagli equivoci dal momento che il ministero e il ministro degli Interni indiani sono parte rilevante del governo. Come si può continuare a parlare di amicizia con chi considera il nostro militare tenuto arbitrariamente e senza accuse formali in India un “ostaggio”? 

Il servilismo del governo italiano nei confronti di Delhi è inutile e non riesce a mascherare la totale assenza di indipendenza dei giudici indiani dal potere politico, più volte invece sbandierata anche in Italia negli ultimi giorni nel tentativo di alcuni media di trovare un filo logico alla “strategia” renziana che appare invece ancora una volta improvvisata e inefficace specie ora che, sempre grazie alla stampa indiana, abbiamo appreso che Roma ha proposto a Delhi scuse ufficiali, risarcimento (ulteriore) alle famiglie dei pescatori uccisi e processo in Italia per i due marò. Proposte che, come ha fatto sapere il governo indiano, sono in valutazione tenuto però conto che il caso «non è solo una discussione fra due governi ma è un tema all'esame della magistratura indiana che è libera, trasparente e imparziale».  Affermazione comica che si traduce nell’ennesimo schiaffo all’Italia a cui Roma risponde con un gesto di “amicizia”, rimandando in India l’ambasciatore italiano, Daniele Mancini, che era stato richiamato per consultazioni dopo la decisione della Corte Suprema. Non paghi, oltre ai calci nel sedere rifilatici dal governo nazionalista indù, dobbiamo incassare anche quelli del Partito del Congresso, oggi all’opposizione ma che ha governato l’India fino a sei mesi or sono.

Il portavoce del partito, Rashid Alvi, sostiene che India e Italia potrebbero arrivare allo scontro diplomatico qualora Massimiliano Latorre non tornasse in India. Leader e parlamentari del Partito del Congresso pretendono dal governo la "linea dura" con l’Italia in modo che il processo ai due militari cominci immediatamente e senza ulteriori rinvii. «Il governo deve agire contro l'Italia: dovrebbe mettergli pressione per il ritorno in India di Latorre in modo che i due possano presto andare a processo», ha detto Alvi dimenticando che il suo partito ha gestito per due anni la vicenda dei marò senza riuscire neppure a incriminare stabilmente i due italiani. Calpestare l’Italia è del resto uno sport già da tempo in voga in ambito Ue e in rapida diffusione su scala internazionale. Lunedì persino Stephane Dujarric, portavoce del Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, ha ripetuto che il Palazzo di Vetro non vuole entrare nel braccio di ferro tra Italia e India sui due marò. Rispondendo alle domande di un giornalista, Dujarric ha detto di non avere «nulla da aggiungere a quello che (Ban) ha già detto sulla questione».  Nonostante le pressanti richieste da parte dell'Italia, Ban ha sempre sostenuto che la querelle va risolta bilateralmente chiamando fuori l’Onu da ogni possibile ruolo, anche di mediazione. Una linea evidentemente ispirata dall’India ma che Ban-Ki-moon sarebbe costretto a rivalutare se l’Italia decidesse di ritirare già nei prossimi giorni i suoi caschi blu dal Libano e da tutte le missioni militari gestite direttamente dall’Onu o soggette a un mandato delle Nazioni Unite.

A Roma, però, non c’è nessuno con abbastanza capacità e attributi per prendere decisioni simili e poi se Renzi avesse voluto davvero internazionalizzare la crisi con l’India avrebbe presentato la richiesta di arbitrato al Tribunale del Mare di Amburgo come raccomandano da tempo tutti gli esperti di diritto internazionale. Invece non l’ha fatto, forse per non irritare gli “amici” indiani.