Ora di religione, la Cei progetta il ritiro. In nome del pluralismo
Ascolta la versione audio dell'articolo
Monsignor Derio Olivero, presidente della Commissione per l’ecumenismo della Cei, propone di abolire l’ora facoltativa di religione cattolica per sostituirla con un’ora obbligatoria di «pluralismo religioso». Un’abdicazione della Chiesa alla sua missione di Maestra, triste epilogo dell’equivoca storia dell’Irc e dell’abbraccio mortale con lo Stato relativista.
Insegnamento della religione cattolica (Irc) nella scuola statale: la Chiesa si ritira, non per fare altro e meglio, si ritira e basta. Questo è il senso vero della proposta lanciata dal vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che è anche presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (Cei): abolire l’ora facoltativa di Irc e sostituirla con un’ora obbligatoria di «pluralismo religioso». Queste le sue parole contenute in un articolo pubblicato sulla Rivista del clero italiano: «Non più un’ora di religione cattolica, facoltativa, quanto piuttosto un insegnamento obbligatorio del fenomeno religioso in chiave plurale per abituare lo studente a diventare un cittadino capace a meglio comprendere la società in cui si trova». In questo modo la Chiesa «potrà fare un passo indietro, rinunciando ad uno spazio che le spetta di diritto per far fare alla società un passo avanti. Il pluralismo religioso, inteso come tema educativo, aiuta a ripensare la laicità in termini inclusivi».
Il passo indietro veramente necessario sarebbe che la Chiesa ponesse fine a questa equivoca storia dell’Irc nella scuola statale, sciogliendosi da questo abbraccio mortale con lo Stato, per realizzare veramente il proprio diritto ad educare in pubblico senza più i compromessi e i vincoli che l’accordo con lo Stato richiede. Invece il passo indietro proposto dal vescovo Olivero è la dichiarazione di non voler più educare, è una rinuncia ad insegnare in pubblico le verità della religione cattolica, è la richiesta che la Chiesa non faccia più la Chiesa. Peggio ancora, è l’idea che, quando la Chiesa insegna le proprie verità, fa del male ad alunni e studenti: se la Chiesa insegna in pubblico, la società va indietro, se la Chiesa non si fa più presente nell’educazione la società fa un passo in avanti. È come dire che l’insegnamento di verità soprannaturali indebolisce anziché rafforzare le relazioni sul piano naturale. Per Olivero la Chiesa deve astenersi dall’educare per non essere, così facendo, diseducativa.
L’Irc fa più male che bene alla Chiesa. La filosofia della scuola di Stato è una laicità ideologica secondo la quale ogni cittadino – in questo caso ogni alunno o studente – ha il diritto costituzionale ad abbracciare ciò che egli considera vero e buono. La presenza di un Irc, in un simile contesto di pensiero, non ha diritto ad esistere, se non trasformandosi in modo innaturale. L’accordo sull’Irc tra Chiesa italiana e Stato si basava sull’idea dell’importanza di questo insegnamento per capire la storia e la cultura italiane. Si trattava di un’argomentazione storica, che non poteva reggere a lungo davanti all’avanzata del nuovo senso falsamente democratico, liberale e individualistico (per non dire relativistico) di laicità.
Per decenni si è così protratto un grande equivoco. Si disse che non bisognava fare catechismo ma favorire un approccio culturale alla religione cattolica: ma come farlo se non riprendendo in aula le fondamentali verità teologiche che la identificano? Si disse che quell’ora di lezione doveva essere di formazione al confronto critico e di aiuto al dialogo: ma come riuscirci evitando di insegnare i criteri cattolici del confronto critico e del dialogo? Si scese così dal piano religioso a quello etico, ritenendo che questo genere di questioni fossero più nelle corde dei giovani: ma come trattare adeguatamente in modo cattolico questo piano senza riferimento a cosa dice la religione cattolica sul bene? C’è stato quindi un lungo calvario durante il quale si è completamente persa di vista la natura “disciplinare” di quest’ora di lezione, spesso riempita dai più vari contenuti a libera scelta dei disorientati docenti, lì inviati da disorientati uffici scolastici delle diocesi. Così quell’ora di lezione ha finito per non avere più niente di cattolico, per questo era ed è meglio fare un passo indietro per riprendersi in autonomia la questione educativa.
Per fare una scelta simile c’era bisogno di una chiarezza di fede, di intelletto e di volontà che nel frattempo era andata dispersa. La Chiesa stessa aveva perso la convinzione che la fede fosse capace di generare una cultura e una civiltà. La Chiesa non credeva più che la fede fosse una forma di conoscenza e che, come tale, avesse un suo posto nel quadro del sapere. Aveva ripreso questa idea Benedetto XVI all’Università di Ratisbona, ma la nuova teologia era su posizioni contrarie e la mentalità ecclesiale diffusa era cambiata. Del resto, anche ammettendo per assurdo che la Chiesa avesse fatto la forza di denunciare l’accordo con lo Stato sull’Irc e avesse pensato di fare da sé, cosa avrebbe fatto poi? Di quali contenuti avrebbe riempito la riconquistata libertà educativa? La secolarizzazione e la laicità erano ormai ampiamente accettate anche dentro di essa, compreso il nuovo dogma del pluralismo religioso. Da tempo la Chiesa ha perso di vista il suo essere Maestra. Al punto da farsi ammaestrare dai cambiamenti sociali anziché il contrario. Il vescovo Olivero, infatti, su cosa fonda la necessità del passo indietro? Sul fatto che le adesioni all’Irc diminuiscono e che la società è ormai multireligiosa. Dati di fatto, questi, e non di diritto; essere, non dover-essere.
La proposta di Olivero è la triste conclusione di questo processo. Essa può però avere anche una conseguenza positiva: la sua applicazione farebbe aumentare il numero dei genitori cattolici che ritireranno i propri figli, a vantaggio di vere scuole cattoliche libere.
L'ora di religione: la fede in balia delle opinioni
È tutt'altro che rose e fiori l'IRC nella scuola pubblica, stretto fra il pochissimo tempo a disposizione e l'ampia accondiscendenza verso il mainstream, per non sembrare "troppo cattolici".