Ora che la controffensiva ucraina è fallita la Nato vuole sfilarsi
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Dopo due mesi di controffensiva ucraina, i guadagni territoriali sono minimi e le perdite nell'ordine delle decine di migliaia. Inizia il gioco dello scaricabarile. Ma nel fronte occidentale iniziano a sentirsi malumori e voglia di far finire il conflitto, sia negli Usa che a livello Nato.
Dopo il flop della controffensiva ucraina che tante aspettative aveva animato in Occidente, l’obiettivo di molti governi in Europa e Stati Uniti sembra ora essere solo quello di sganciarsi il più rapidamente possibile dal conflitto cercando exit strategy poco onorevoli e spesso di difficile attuazione.
L’ultimo tentativo, un po’ maldestro, viene dalla Nato con le dichiarazioni di Ferragosto del capo di gabinetto Stian Jenssen, uomo vicinissimo al segretario generale Lens Stoltenberg. Jenssen ha ipotizzato al quotidiano norvegese VG che l'Ucraina possa entrare nella Nato in cambio della concessione di una parte del suo territorio alla Russia. Sarebbe questa la strada per arrivare alla fine della guerra tra Kiev e Mosca. "Penso che la soluzione potrebbe essere che l'Ucraina rinunci al territorio e ottenga invece l'adesione alla Nato. Non sto dicendo che dovrebbe essere così. Ma potrebbe essere una possibile soluzione".
L'ipotesi è stata subito respinta come “ridicola” dal consigliere della presidenza ucraina Mykhailo Podolyak e dai vertici ucraini che considerano “inaccettabile" che un rappresentante della Nato sostenga "una narrazione che appoggia le posizioni della Russia". L’Alleanza ha poi rettificato spiegando con un portavoce che "la posizione della Nato è chiara e rimane invariata. Come ribadito al vertice di Vilnius a luglio, sosteniamo pienamente la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina. Continueremo a sostenere l'Ucraina per tutto il tempo necessario. Ci impegniamo per una pace giusta e duratura. L'Ucraina deciderà quando e a quali condizioni sarà raggiunta la pace”.
Difficile credere che Jenssen abbia agito di sua iniziativa senza immaginare le reazioni che le sue parole avrebbero suscitato. E che non devono stupire, se si tiene conto che Stoltenberg ha detto in più occasioni (l’ultima proprio al summit di Vilnius) che la controffensiva ucraina deve portare Kiev a riconquistare territori per potersi sedere con maggiore forza al tavolo dei negoziati con la Russia. Considerazioni che cozzano con l’obiettivo annunciato da Kiev, incentrato sulla riconquista di tutti i territori occupati dai russi, ma non credibile come mostrano i fatti bellici. Mentre l’Ucraina butta nella mischia l’ultima delle 12 brigate addestrate ed equipaggiate dagli occidentali per sfondare le linee russe, i risultati conseguiti in oltre due mesi di controffensiva sono insignificanti.
E’ stata riconquistata un’area di circa 350 chilometri quadrati, meno dell’estensione del comune di Ferrara (402 kmq), pari allo 0,02% del territorio ucraino controllato dai russi. Successi territoriali limitati a qualche villaggio raso al suolo nella “terra di nessuno” dove peraltro i russi hanno riguadagnato posizioni contrattaccando negli ultimi giorni, mentre più a nord, tra le regioni di Luhansk e Kharkiv, sono le truppe russe ad avanzare verso Kupyansk dove i comandi ucraini ammettono di non poter difendere a lungo le posizioni.
Dopo aver bruciato 25 brigate di veterani per difendere inutilmente Bakhmut nell’inverno scorso, gli ucraini hanno sacrificato le nuove brigate composte da combattenti per lo più inesperti, ma dotati di armamento occidentale in una controffensiva priva di risultati che ha provocato almeno 50mila caduti alle forze di Kiev. Di fatto, dopo una disastrosa carneficina, gli ucraini non hanno raggiunto né gli obiettivi militari, né quelli politici di garantirsi nel tempo il sostegno di un Occidente che, al contrario, di fronte alla sconfitta di Kiev sembra cominciare a defilarsi.
Da un lato, Usa e alleati dichiarano che sono gli ucraini a dover scegliere se e quando negoziare con i russi, dall’altro Zelensky ha messo fuori legge tutte le opposizioni e si appoggia sulle forze ultra-nazionaliste che non gli perdonerebbero negoziati in cui Kiev dovrebbe cedere ampi territori. Anche per questo oggi all’Ucraina converrebbe negoziare perdite territoriali certo dolorose, ma che potrebbero risultare ben più ampie tra qualche mese se i russi avranno la capacità di scatenare una vasta offensiva dopo il dissanguamento delle forze di Kiev.
Le voci di reparti ucraini che si arrendono ai russi e di altri che si rifiutano di tornare all’assalto della Linea Surovikin, nei tritacarne del fronte di Zaporizhia, dovrebbero indurre Kiev a riflettere sul rischio di un tracollo del proprio esercito. Nelle valutazioni di Jenssen non viene tenuto conto che i russi potrebbero non essere interessati a negoziare ora, attendendo condizioni a loro più favorevoli, ma soprattutto che Mosca non accetterà un’Ucraina che, pur con qualche regione in meno, faccia parte della Nato.
Fin dall’avvio dell’Operazione Militare Speciale, il 24 febbraio 2022, Putin ha sempre dichiarato di non voler conquistare l’intera Ucraina ma di puntare a liberare alcune regioni (poi annesse alla Federazione) e di voler un’Ucraina neutrale, uno stato cuscinetto che separi la Nato dalla Russia. La guerra quindi sembra destinata a concludersi in modo ben diverso da come era stato configurato in Occidente e i grandi media statunitensi sembrano aver iniziato a preparare l’opinione pubblica alla possibile sconfitta o quanto meno al mancato successo dell’Ucraina.
L’8 agosto la CNN ha riferito i commenti di quattro fonti diplomatiche e d’intelligence di alto livello che anonimamente hanno espresso dubbi sull'effettiva capacità delle forze dell'Ucraina di recuperare i territori occupati. “E’ estremamente improbabile che vi siano progressi in grado di modificare gli equilibri del conflitto" e cresce il timore che il sempre più ampio divario tra aspettative e risultati della controffensiva possa portare a scontri interni a Kiev, dove peraltro proprio intorno a Ferragosto sono riprese a circolare voci di forti contrasti tra i vertici politici e militari.
Già il 3 agosto il New York Times evidenziava il fallimento della controffensiva e dell’addestramento impartito dall’Occidente agli ucraini mettendo in guardia dai rischi di puntare sul logoramento delle forze russe, considerato che Mosca gode di un significativo vantaggio sull’Ucraina in termini di uomini e risorse e che Putin sembra contare proprio sull’esaurimento delle forze e delle riserve ucraine per vincere il conflitto. Militari ucraini sentiti dal NYT accusano i comandanti di spingere le reclute in battaglia, di utilizzare unità impreparate come avanguardia e che il tipo di addestramento e molti mezzi ricevuti dall’Occidente sono forse adatti alle guerre anti-insurrezionali in Iraq e Afghanistan, ma non certo a confrontarsi con la potenza di fuoco dei russi in battaglie convenzionali.
Il 10 agosto il Washington Post ha scritto che dopo due mesi di controffensiva sanguinosa e con pochi progressi in tutta l’Ucraina “la narrativa di unità e perseveranza senza fine ha cominciato a sfilacciarsi. Il numero di morti – migliaia, incalcolabili – aumenta ogni giorno. Milioni di persone sono sfollate e non vedono alcuna possibilità di tornare a casa. In ogni angolo del paese, i civili sono esausti per l’ondata di recenti attacchi russi…” In Germania il quotidiano Bild ha rivelato il 24 luglio un documento riservato delle forze armate intitolato Osservazioni sulle Forze armate ucraine, in cui con molti dettagli si esprimono critiche alle truppe di Kiev per la fallita controffensiva.
I vertici militari tedeschi lamentano la disorganizzazione delle forze di Kiev nonostante l’addestramento ricevuto e attribuiscono il flop della controffensiva alla “dottrina operativa ucraina” e al non corretto apprendimento dell’addestramento occidentale. I militari ucraini non ci stanno a prendersi colpe che ritengono di non avere, come ha riferito l'agenzia di stampa ucraina Unian. Secondo i vertici militari di Kiev gli insegnamenti impartiti dalla Nato alle truppe ucraine sono fondati sul dominio nell'aria che invece in questa guerra è saldamente in mano ai russi. Tra Kiev e Nato sembra quindi iniziato lo scaricabarile poiché, come sosteneva Tacito, se “la vittoria ha molti padri, la sconfitta è sempre orfana”.
Le valutazioni ingenerose di Berlino non sembrano concedere nulla a un po’ di autocritica, né tenere conto dell’addestramento sommario impartito in Europa per appena un paio di mesi alle reclute ucraine, al tentativo di trasformare soldati inesperti in carristi in appena 8 settimane o a forniture di armi talmente variegate e diversificate che hanno visto Kiev mettere in campo oltre 170 diversi sistemi d’arma principali e veicoli. Faremmo meglio a chiederci quanti eserciti Nato (composti da professionisti non da truppe di leva) reggerebbero per oltre due mesi l’attacco alle linee russe. O quanti Stati membri della Nato potrebbero reggere 50mila morti in due mesi di guerra. Nessun esercito europeo avrebbe oggi a disposizione truppe, armi e munizioni per tenere 800 chilometri di fronte contro i russi neppure per due settimane, figuriamoci per 18 mesi. Sarebbe più decoroso ricordare tutto questo prima di impartire lezioni a chi in trincea combatte, muore o resta ferito o mutilato.
La tendenza ad autoassolversi dalle responsabilità per una sconfitta che è anche nostra, (il sottosegretario di Stato Victoria Nuland ha detto che Washington ha lavorato per molti mesi con gli ucraini a pianificare la controffensiva) era già emersa al vertice Nato di Vilnius, con il battibecco a distanza tra il ministro della Difesa britannico Ben Wallace e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky circa la necessità che gli ucraini mostrino riconoscenza per quanto fatto dall’Occidente per aiutarli.
L’Europa è economicamente in ginocchio ma avendo ceduto ogni briciolo di sovranità agli Stati Uniti il suo peso è irrilevante, mentre a Washington sta già prendendo il via un’altra infuocata campagna per la Casa Bianca ed è certo che nessun candidato guadagnerà voti da una guerra costosa che potrebbe degenerare in un confronto nucleare con la Russia. Il 4 agosto un sondaggio pubblicato da CNN rilevava che il 55% degli americani è contrario ad ulteriori stanziamenti per l’Ucraina: il 51% degli intervistati ritiene che Washington abbia fatto abbastanza per Kiev, contro un 48% di opinione contraria, in netto calo rispetto al 62% di un anno fa. Per quanto riguarda il genere di aiuti da fornire, il 63% menziona la cooperazione d’intelligence, il 53% l’addestramento militare, il 43% la fornitura di armi e solo il 17% sosterrebbe un dispiegamento di truppe statunitensi sul terreno. Il sondaggio dimostra inoltre una forte divisione basata sullo schieramento politico: il 71% di coloro che si dichiarano Repubblicani si oppongono ad ulteriori finanziamenti da parte del Congresso, mentre il 62% dei Democratici è favorevole.
Il 12 agosto, 12 deputati repubblicani hanno scritto a Biden chiedendo di ritirare l’ultimo pacchetto di aiuti all’Ucraina per 24 miliardi. “Questa richiesta aggrava la spesa in deficit fuori controllo della Sua amministrazione e aggira l’accordo bipartisan sul tetto del debito. Gli americani sono stanchi di finanziare guerre infinite e vogliono politiche che non solo aiutino a ripristinare la salute fiscale a Washington, ma mettano anche l’America e i cittadini americani al primo posto”. I repubblicani sostengono inoltre che l’amministrazione Biden “ha l’obbligo di spiegare, esplicitamente e ufficialmente, ciò che gli Stati Uniti stanno cercando di ottenere in Ucraina”.
Si tratta probabilmente solo di un anticipo dell’aspro dibattito che si svilupperà nei prossimi mesi negli Usa sul conflitto in Ucraina, con la possibilità che presto cominci a circolare lo slogan “questa non è la nostra guerra" che farà assomigliare presto Kiev a Saigon o a Kabul.