ONU troppo ambigua nel caso Sri Lanka
Gli strascichi del conflitto che
per decenni ha insanguinato l'isola
non sono finiti. I Paesi forti condizionano il Palazzo di Vetro.
La recente risoluzione riguardante la situazione interna dello Sri Lanka, approvata con numeri risicati dal consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, è a mio giudizio un esempio di come certi Paesi, forti del loro predominio politico o economico, si muovano nel mondo come elefanti in cristalleria.
Dato che giudicare le intenzioni è sempre ingiusto, ammettiamo che lo scopo dei promotori e sostenitori di tale risoluzione fosse solamente quello di dare un segnale forte al governo dello Sri Lanka perché dia realizzazione alle raccomandazioni della commissione per la riconciliazione che ha da poco concluso i suoi lavori. Tale commissione ha ascoltato innumerevoli testimoni del conflitto civile pluridecennale, di ambo le parti, e ha presentato una sua relazione accompagnata da raccomandazioni per risolvere la questione. Ammettiamo pure che tutto ciò che si voleva ottenere con la risoluzione fosse solamente una veloce soluzione dei problemi sul campo, a sollievo della popolazione che ancora soffre per le conseguenze del passato.
Quali i risultati ottenuti dall'approvazione di tale risoluzione?
- Un esponente del governo ha proiettato un forte dubbio sul lavoro stesso della commissione per la riconciliazione nazionale, accusandola di essere andata molto oltre il proprio mandato ed il proprio scopo. Tale affermazione ora rende l'opinione pubblica della maggioranza piuttosto sospettosa verso ogni realizzazione delle suddette raccomandazioni.
- Un esponente del governo, mostrando di ignorare vari dettagli su ciò di cui parlava, ha accusato la Caritas Sri Lanka di aver organizzato proteste di contadini, e di aver pagato loro il trasporto ed i pasti, perché protestassero contro il governo ed a favore della risoluzione di Ginevra. Caritas Sri Lanka, secondo tale esponente, si sarebbe addirittura recata a Ginevra a sostenere l'approvazione della risoluzione. Tale affermazione è platealmente falsa. Purtroppo, in un clima ormai incandescente, a poco è valsa la dichiarazione delle organizzazioni contadine di essere del tutto indipendenti da Caritas Sri Lanka, che la loro protesta riguardava i prezzi del riso in relazione all'aumento dei prezzi dei carburanti, e che avessero ricevuto il sostegno di sacerdoti e monaci buddisti allo stesso modo. A poco è anche valsa la dichiarazione di Caritas Sri Lanka di non aver avuto alcuna parte, né nella protesta dei contadini, né nell'approvazione della risoluzione.
- Manifestazioni di sostegno al governo e di protesta contro le nazioni unite sono avvenute in gran parte del paese, a volte anche con la partecipazione di esponenti religiosi, elemento di forte presa nel paese.
- I rapporti diplomatici, ed addirittura le missioni estere dello Sri Lanka, sono ora in via di ridimensionamento.
Quali i risultati ottenuti, allora?
1. La situazione interna è più polarizzata di prima;
2. è cominciata la caccia alle streghe, offrendo un'occasione d'oro per usare le minoranze etniche e religiose come capro espiatorio (inclusa la minoranza che si intendeva favorire);
3. ogni passo verso la realizzazione delle raccomandazioni della commissione sarà d'ora in poi accolto con molto sospetto, mentre ogni resistenza godrà del sostegno popolare.
Due domande:
1. Era questo, che si voleva ottenere?
2. Quale paese accetterebbe di buon grado che altri governi usino trattati internazionali per forzargli la mano? Forse che i promotori della risoluzione (USA in testa) non hanno i loro scheletri nell'armadio?
Le Nazioni Unite, poi, sono tutt'altro che innocenti o imparziali. Ma questo argomento esula dallo scopo di questo trafiletto.
Questo, senza negare che i problemi sul tappeto ci siano, eccome. Ma esacerbare gli animi, forse, non è esattamente la tattica vincente. Certi governi, prima di mostrare i muscoli, dovrebbero pensarci due volte. Le loro seguenti mosse conciliatorie, pur mostrando buone intenzioni e buona volontà, non rimuovono il bruciore dello schiaffo ricevuto, che prima o poi verrà restituito a qualcuno -ma forse non a chi l'ha dato.