Ong, oltre alla legalità c'è anche un nodo lavoro
Un aspetto controverso delle ong riguarda le condizioni di lavoro degli addetti. La cooperazione muove un “giro d'affari” di 595 milioni, di cui il 56% da fondi istituzionali: 17mila addetti, il 44,7% ha un contratto a tempo indeterminato, mentre più di uno su due lavora con contratti precari. Il nodo più dolente è quello delle retribuzioni che possono variare da oltre 103mila euro per i dirigenti ad appena 10mila euro lordi per un contratto full time per gli addetti più sfortunati.
Diceva Henry Ford che “non c'è esercizio migliore per il cuore che stendere la mano e aiutare gli altri ad alzarsi”. Se la solidarietà è una delle cose che, più di tutte, definiscono l'uomo come tale non sempre lo stesso può dirsi del mondo del no profit. Un insieme di organizzazioni spesso grandi e complesse che, specie oggi, è sotto l'occhio vigile dell'opinione pubblica, che rischia a sua volta di cadere in due eccessi contrapposti ma complementari: considerarlo assolutamente perfetto o imperfetto, intrinsecamente buono o malvagio.
Due forzature (spesso politicizzate) che tendono a considerare come organismo unico una serie impressionante di associazioni radicate sul territorio che, partendo da presupposti laici o religiosi, puntano a scopi molto diversi: dalla lotta alle malattie fisiche o mentali al contrasto alla povertà, fino alla promozione di temi sociali, etici, culturali. Un errore piuttosto comune è quello di sovrapporre tutte le onlus (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) con le ong (organizzazioni non governative), che sono onlus che si occupano specificamente di cooperazione e sviluppo.
In effetti nelle ultime settimane il mondo della cooperazione ha dovuto affrontare una serie di scandali, che hanno restituito all'opinione pubblica una pessima immagine. Solo due settimane fa una maxi inchiesta sul Cara di Sant'Anna in provincia di Crotone, il più grande d'Europa, ha portato al fermo di 68 persone legate alla 'ndrangheta e al sequestro di beni per 84 milioni di euro. Secondo i magistrati dei 103 milioni di euro di fondi Ue che lo Stato ha girato alle associazioni che gestivano il centro richiedenti asilo ben 35 sarebbero finiti nella “bacinella”, che in gergo calabrese identifica la cassa del clan. Solo nel 2009, a fronte di un contributo di 13 milioni di euro, i clan avrebbero sottratto la bellezza di oltre 5,8 milioni di euro, poco meno della metà.
Per ora è l'unica sentenza certa ma in futuro potrebbero arrivarne altre in grado di minare la già poca fiducia che gli italiani nutrono nel sistema dell'accoglienza. Lo scorso 25 maggio il procuratore generale Antimafia Franco Roberti ha convocato nella sede romana della Direziona nazionale antimafia una riunione con magistrati antimafia e procuratori di alcune città chiave (Catania, Palermo, Catanzaro, Reggio Calabria, Lecce, Salerno, Venezia e Trieste), i dirigenti di Frontex (l'Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera) e delle forze dell'ordine coinvolte in operazioni di soccorso e accoglienza. Obiettivo della riunione, rigorosamente a porte chiuse, è stato quello di confrontarsi sulle inchieste condotte dai pm di Catania (il noto Carmelo Zuccaro) e Trapani sul coinvolgimento diretto o indiretto di alcune ong in operazioni che favoriscono l'immigrazione clandestina. Il procuratore di Trapani Ambrogio Cartosio, in particolare, aveva già dichiarato alla commissione Difesa al Senato: "Alla Procura di Trapani risulta che in qualche caso navi delle Ong hanno effettuato operazioni di soccorso senza informare la centrale della guardia costiera". Ancora una volta la polemica si è trasferita al mondo della politica con esponenti che non hanno esitato a usare Zuccaro come un manichino da incensare o subissare di critiche, a seconda della convenzienza di parte.
Un altro aspetto controverso delle ong riguarda le condizioni di lavoro degli loro addetti. Come dimostra i dati pubblicati sul sito open-cooperazione.it la cooperazione nel suo complesso muove un “giro d'affari” di 595 milioni di euro, di cui il 56% arrivano da fondi istituzionali. Nonostante ciò su circa 17mila addetti, il 44,7% ha un contratto a tempo indeterminato, mentre più di uno su due lavora con contratti precari (il 5,8% a tempo determinato, il 39,4% a progretto e il 10,1% a partita Iva). Non solo: il nodo più dolente è forse quello delle retribuzioni che possono variare da oltre 103mila euro per i dirigenti retribuiti meglio ad appena 10mila euro lordi per un contratto full time per gli addetti più sfortunati. Disparità di fronte alle quali è in effetti difficile giustificare un sussidio pubblico. Ciò non significa però che, anche per quanto riguarda la cooperazione, le ong siano depositarie di tutti i mali: chi si lamenta degli aspetti più deleteri dell'accoglienza migranti dovrebbe, in primo luogo, prendersela con la politica che – giusto per fare un esempio - ha firmato il Trattato di Dublino (ratificato ben tre volte, nel 1997, 2003, 2013), che stabilisce che la responsabilità dell’asilo è del Paese di primo sbarco, che per ovvie ragioni geografiche è quasi sempre l'Italia.
Ancor più sbagliato è criticare tutte quelle realtà associative no profit che fanno del bene senza prendere fondi pubblici. La maggior parte delle onlus, infatti, si finanzia attraverso contributi privati che derivano dai propri soci, da raccolte fondi o dal 5x1000, che nel 2015 grazie a 16,3 milioni di sottoscrittori ha permesso di raccogliere quasi 500 milioni di euro. Una di queste associazioni è la Caritas Ambrosiana che nel 2015 ha dato risposte concrete all'esigenza abitativa di 13.170 persone tramite una fitta rete di servizi diocesani e 57 centri d'ascolto facendo fronte a numerose problematiche fra cui, dal 2008 al 2015, un aumento del 38% di italiani con problemi di occupazione e del 47% di italiani con probolemi di reddito. Una realtà che, come tante altre, sopperisce a uno Stato che – pur chiedendo moltissime tasse – è quasi sempre incapace di risolvere i problemi di chi ha realmente bisogno.