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EDITORIALE

Omosessualità, il Magistero scomparso

Sono ormai moltissimi i vescovi che si sono espressi a favore delle unioni omosessuali «purché non si chiamino matrimonio». E altrettanti si sono pronunciati per la comunione ai divorziati risposati. Malgrado il Magistero su questi temi abbia già detto una parola chiara. Ma nessuno sembra farci caso.

Editoriali 28_01_2015
Matrimonio gay

Sono ormai moltissimi i vescovi che si sono espressi a favore delle unioni omosessuali «purché non si chiamino matrimonio». Tra le tante, ricordiamo la presa di posizione di monsignor Bruno Forte che, durante la presentazione della «Relatio post disceptationem» del recente Sinodo straordinario ha esclamato: «Non si può escludere la codificazione di diritti per le coppie omosessuali, è un discorso di civiltà!». Anche molti laici influenti hanno ammesso la possibilità di riconoscere pubblicamente le unioni omosessuali «purché non si chiamino matrimonio» e purché non si pretenda l'adozione di bambini da parte di genitori con tendenze omosessuali.

Eppure – se non m'inganno, non essendo un esperto - il Magistero si è già espresso in maniera chiara su questo tema.

Mi riferisco ad un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede intitolato Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (clicca qui). Si tratta di un documento firmato dall'allora Prefetto della Congregazione cardinale Ratzinger, in calce al quale è posta una scritta di qualche rilievo: «Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell'Udienza concessa il 28 marzo 2003 al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato le presenti Considerazioni, decise nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione» (scritta che non compare su ogni documento delle Congregazioni vaticane).

In questo documento la posizione della Chiesa appare nettissima: «In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza» (§ 5).

A sostegno di questa affermazione vengono aggiunte diverse considerazioni di ordine relativo alla retta ragione («Lo Stato non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio», § 6); di ordine biologico ed antropologico («Esse [le unioni civili di persone con tendenze omosessuali] non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana. [...] è anche del tutto assente la dimensione coniugale, che rappresenta la forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali. [...] l'assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all'interno di queste unioni», § 7); di ordine sociale («Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune», § 8);  di ordine giuridico («Poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni omosessuali invece non esigono una specifica attenzione da parte dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune», § 9).

La stessa cosa si potrebbe dire dell'altro tema che ha infiammato le pagine dei quotidiani durante il Sinodo (che avrebbe dovuto essere dedicato alla famiglia): la comunione ai divorziati risposati.

Anche in questo caso – sempre se non mi sbaglio - esiste una Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati (clicca qui). Anche questo documento è stato stilato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede; e anche in questo caso la posizione della Chiesa appare chiarissima: «Fedele alla parola di Gesù Cristo, la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione» (§ 4).

«Roma locuta, causa finita», scrisse sant'Agostino. E così si diceva fino a qualche tempo fa per indicare una semplice e chiara regola per «sentire cum ecclesia», come si esprimeva sant'Ignazio di Loyola. Eppure – a quanto pare, e come è stato spiegato da qualcuno - oggi il Magistero si aggiorna, è in continua evoluzione, recepisce i progressi della scienza, si adatta al mutare dei costumi e delle circostanze sociali.

Anche su questo modo di intendere il magistero, tuttavia, pare che la Chiesa abbia preso una netta posizione. Non faccio riferimento all'ennesimo dimenticato (o mai letto) documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, bensì alla lettera enciclica Pascendi dominici gregis (clicca qui), data da san Pio X l'8 settembre 1907 a tutti i fedeli del mondo. In questa lettera il santo Pontefice condanna – non senza una buona dose di elegante ironia – la tesi secondo la quale «Dogma, Chiesa, culto, Libri sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che sottostiano alle leggi dell'evoluzione. [...] Lo stimolo precipuo di evoluzione del culto sarà il bisogno di adattarsi agli usi ed alle tradizioni dei popoli. [...] I dogmi e la loro evoluzione debbono accordarsi colla scienza e la storia».

Richiamando il Magistero non intendo certo calarmi indebitamente nel ruolo di teologo, ecclesiologo, canonista o storico della Chiesa (ci sarebbe solo da ridere); mi riconosco piuttosto in quel «cattolico medio» che, secondo Vittorio Messori, è «abituato a fare a meno di pensare in proprio, quanto a fede e costumi».

Mi pare però molto strano che il Magistero della Chiesa, che fino a qualche tempo fa era unanimamente considerato il faro della vita di ogni credente, sia scomparso dai dibattiti che animano la vita ecclesiale degli ultimi tempi.