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L’ANALISI GIURIDICA

Omofobia, un Ddl nello stile di uno Stato totalitario

Il testo del disegno di legge unificato sull’omofobia, nella versione anticipata dall’Espresso, contiene norme che limitano le libertà fondamentali su cui si fonda lo Stato democratico disegnato dalla Costituzione. L’uso dello strumento penale e la genericità delle condotte vietate porteranno a punire le persone per ciò che pensano, dando un enorme potere di pressione ai gruppi Lgbt.

Attualità 12_06_2020

1. Davvero il disegno di legge Zan aprirebbe la strada a derive liberticide, con le quali si colpirebbe l’espressione di un’opinione, come sostengono i vescovi italiani, recependo ciò che molte voci avevano denunciato? Davvero questa legge rischia di limitare di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio della critica e del dissenso?

La risposta non può che essere affermativa: sì, il testo del disegno di legge - mi riferisco a quello che unifica le varie proposte, anticipato dall’Espresso, che ne prevede l’approvazione in tempi rapidi dalla Commissione Giustizia della Camera e il conseguente approdo in Assemblea - contiene norme che limitano le libertà fondamentali su cui si fonda lo Stato democratico disegnato dalla Costituzione.   

2. Notiamo, innanzitutto, la scelta fatta: l’uso dello strumento penale, che comporta con sé la minaccia del carcere, le perquisizioni da parte della polizia giudiziaria, gli interrogatori, la necessità di nominare (e pagare) un avvocato, i tempi della giustizia… quali preoccupazioni possono nascere dalla semplice presentazione di una denuncia penale tutti lo possono comprendere e alcuni lo hanno già sperimentato. Pensate che l’indagato intravede il rischio di essere costretto a svolgere un lavoro “di pubblica utilità” a favore di associazioni Lgbt per ottenere la sospensione condizionale della pena o, ancora prima, per ottenere la sospensione del procedimento con messa alla prova!

Non basta: i proponenti hanno voluto favorire la presentazione di denunce di asserite vittime di omofobia et similia prevedendo a loro favore il gratuito patrocinio (lo Stato pagherà il loro avvocato) e definendole persone “in condizione di particolare vulnerabilità”, cosicché la loro deposizione potrà essere raccolta in un incidente probatorio quasi segreto, con serie limitazioni al controesame da parte dell’avvocato; inoltre avranno diritto ad opporsi alla richiesta di archiviazione e a nominare associazioni rappresentative (indovinate quali). Già si intravede un “processo speciale”, che rischierà di arrivare “confezionato” in dibattimento, limitando fortemente il diritto di difesa degli accusati.

3. Scendiamo all’analisi delle fattispecie penali che sarebbero introdotte. Diverse voci hanno accusato i vescovi di non avere letto il testo del progetto, nel denunciare i rischi di un reato di opinione: si sottolinea, infatti, che il progetto non punisce la “propaganda” delle idee, ma solo l’istigazione a commettere atti di discriminazione e la commissione di tali atti. L’articolo apparso sull’Espresso fa questo esempio: “Viene punita un’associazione che pubblicando la foto di un attivista gay invita i suoi seguaci a linciarlo. Non viene punita una persona che potrà ancora liberamente dire: l’utero in affitto è un abominio, il matrimonio omosessuale è sbagliato”.

E se una persona sostiene che una coppia omosessuale non può acquistare i bambini provenienti dall’utero in affitto né adottarli e sollecita il Parlamento o i giudici a non concedere questo diritto? Non è forse considerata oggi un’istigazione alla discriminazione dei componenti di quella coppia omosessuale?

E se un pasticciere si rifiuta di confezionare una torta per una festa per l’unione civile di una coppia omosessuale? Non è forse una discriminazione “per motivi fondati sull’orientamento sessuale”?

E se una signora che si trova nello spogliatoio della sua palestra un uomo nudo - che è lì perché si sente donna - e reagisce violentemente, non ha commesso violenza per motivi fondati sull’identità di genere?

Non c’è stato nessun equivoco: è evidente che il progetto vuole punire condotte del tutto inoffensive che si basano su convinzioni personali - basate sulla verità dell’uomo - che si vogliono sopprimere e tacitare. 

4. Le norme sono disegnate proprio nello stile dello Stato totalitario: generiche nella descrizione della condotta vietata e tutte indirizzate a verificare le finalità dell’autore, ad entrare nell’animo della sua coscienza per condannarla.

La genericità: le norme puniscono “atti di discriminazione” e l’istigazione di tali atti. In cosa consisterebbe la “discriminazione”? E in che ambiti sarebbe vietata? La risposta, implicita, è che qualsiasi differenza di trattamento in qualunque ambito costituisce discriminazione ed è quindi sanzionata penalmente. Non esiste, cioè, una definizione di “discriminazione per motivi fondati sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”; al contrario, la legge Mancino sulla discriminazione razziale faceva riferimento alla Convenzione di New York del 1966 che conteneva una definizione della discriminazione razziale. Vediamo, quindi, che il ventaglio delle possibili accuse di “discriminazione” o di “istigazione alla discriminazione” rischia di essere amplissimo e, sostanzialmente, rimesso alla discrezionalità dei denuncianti.

Che dire, poi, dei concetti di “genere”, “orientamento sessuale” e “identità di genere”? Concetti assolutamente vaghi che - per non sbagliare - i proponenti hanno pensato di menzionare tutti, raccogliendoli dalle varie proposte. Cosa vuol dire “discriminazione fondata sul genere”? È ovvio - qualunque interprete di diritto penale lo sa - che, se vengono elencate tre diverse categorie, evidentemente le stesse sono differenti tra loro: e allora, in cosa differisce il concetto di “genere” da quello di “identità di genere”?

Ma, soprattutto, questa assoluta genericità si accentua con il riferimento ai “motivi”: non è punita la “discriminazione di genere” (ognuno dia il significato che vuole a questa espressione), ma la “discriminazione per motivi fondati sul genere” (oppure per “motivi fondati sull’orientamento sessuale” o “fondati sull’identità di genere”). Cosa vuol dire? Che la differenza di trattamento - in qualunque ambito - porterà ad una condanna se il giudice vi ravviserà i motivi che hanno spinto il soggetto a compierla: cioè il pregiudizio, vale a dire le convinzioni personali.

Questo mette in pericolo moltissime persone: penso al professore che rischia di essere denunciato per avere assegnato un voto negativo ad uno studente con tendenze omosessuali (lo avrà fatto per motivi fondati sull’orientamento sessuale?); penso ai responsabili delle scuole private nella scelta degli insegnanti; ai genitori nella selezione delle baby-sitter…

5. Un altro aspetto: l’istigazione alla discriminazione - cioè la sollecitazione ad adottare un trattamento diverso per determinate situazioni - è punita anche se commessa in privato e non pubblicamente. Non è difficile immaginare questo scenario: la presentazione di una denuncia contro un’associazione cattolica perché tra i propri scopi ha l’incitamento alla discriminazione per motivi fondati sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere (basta pensare in che modo è stato presentato il Congresso Mondiale delle Famiglie e comprendiamo bene quante associazioni potrebbero essere denunciate). Il reato ipotizzato è partecipazione ad un’associazione tra quelle vietate ed è punito con la reclusione fino a sei anni: quindi sono possibili intercettazioni telefoniche e ambientali (le famose cimici). Vediamo, qui, quanto è falsa la distinzione tra “propaganda” e “istigazione”: le prese di posizione pubbliche saranno utilizzate per ipotizzare altri reati; condotte del tutto inoffensive e che costituiranno espressione della libertà di manifestazione del pensiero, della libertà di associazione, della libertà di riunione.

6. Infine, non ci inganni la distinzione tra istigazione alla discriminazione e istigazione alla violenza. Si dice, giustamente: esistono già le leggi che reprimono ogni comportamento violento e persecutorio. Il fatto è che - secondo la vulgata Lgbt - qualunque manifestazione del pensiero che invita a differenziare in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere è un discorso di odio che porta con sé l’incitamento alla violenza nei confronti degli omosessuali e transessuali. In altre parole: se passasse questa legge le denunce saranno per il reato più grave e le indagini saranno svolte sulla base di questa prima prospettazione.

7. Tiriamo le fila: le norme che si vogliono approvare, da una parte serviranno a stabilire definitivamente che nessuna differenza di trattamento può essere mai permessa con riferimento all’orientamento sessuale del soggetto e alla sua “identità di genere”; dall’altra disegnano delitti che descrivono la condotta in maniera del tutto generica e puniscono la persona per ciò che pensa, per i motivi che la spingono; infine, forniscono alle associazioni Lgbt un fortissimo strumento di pressione e di intimidazione nei confronti delle singole persone ma anche delle associazioni.

Viene da chiedersi: ma queste previsioni non sono innestate su una legge già esistente, la legge Mancino sulla discriminazione razziale? Diciamo subito che i dubbi sulla legittimità costituzionale di questa legge - che, appunto, va a colpire le opinioni delle persone - sono sempre state forti; ma che tali dubbi sono stati fugati - non per tutti - dall’aggancio solido alle Convenzioni internazionali e, ancor prima, alla tremenda esperienza della discriminazione razziale, degli stermini su base etnica o nazionale. Anche la nostra Costituzione stabilisce l’uguaglianza di tutte le persone senza distinzione di sesso, di razza, di lingua e di religione.

Tutto questo manca per le rivendicazioni Lgbt: accostare le asserite discriminazioni nei loro confronti a quelle poste in essere verso altri uomini per motivi totalmente differenti è una costruzione artificiosa che fa violenza anche alla verità storica, oltre alla verità sulla natura umana.