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CONTRO IL DDL ZAN

Omofobia, la battaglia perdente dei cattolici

Con la legge Zan sacerdoti e catechisti rischiano la galera, ma sacerdoti e catechisti si saranno chiusi la bocca da soli ben prima che la legge Zan gliela chiuda. Col senso di colpa di essere indietro di 200 anni, la Chiesa cerca di guadagnare il terreno perduto e limita la propria libertà prima che lo Stato gliela limiti. La lotta alla legge Zan basata sulla libertà di espressione deve fondarsi sulla verità e il bene e sul fatto che ci sono dei mali che l’autorità politica può al massimo tollerare a determinate condizioni ma mai approvare come forme di bene pubblico.  

Editoriali 03_06_2020

La proposta di legge Zan contro l’omofobia preoccupa. E molto. Ma non preoccupa tutti. Nemmeno tutti i cattolici. Anzi, preoccupa solo una strettissima minoranza di cattolici. Certamente non preoccupa la gerarchia ecclesiastica italiana dai sacerdoti ai vescovi. Il bello è – però – che la strategia contro la legge Zan non tiene conto di tutto questo, e ragiona come se tutti i cattolici, tutti i sacerdoti e tutti i vescovi fossero allarmati. Così non è, e questo errore di valutazione rende incerta la strategia d’azione contro la proposta di legge in quanto presuppone ciò che non c’è. È come far leva sul vuoto.

La linea argomentativa maggiormente seguita è questa: “Con la legge Zan sacerdoti e catechisti rischiano la galera”. Sono parole di Costanza Miriano che prendo ad esempio e che dovrebbero suscitare allarme e mobilitazione. Ma sacerdoti e catechisti non rischiano nulla perché non insegnano per niente la dottrina della Chiesa su sessualità, omosessualità, transessualità e bisessualità. Quanti sono in Italia i sacerdoti e i catechisti che parlano o almeno accennano a questi temi? Proviamo a contarli e non raggiungeremo il numero delle nostre dieci dita delle mani. Se sacerdoti e catechisti insegnassero la vera dottrina della Chiesa sulla sessualità non si sarebbe arrivati alla legge Zan o comunque ora ci sarebbe almeno un popolo da mobilitare per contrastarla. Sacerdoti e catechisti si saranno chiusi la bocca da soli ben prima che la legge Zan gliela chiuda. Col senso di colpa di essere indietro di 200 anni, la Chiesa cerca di guadagnare il terreno perduto e limita la propria libertà prima che lo Stato gliela limiti. Lo abbiamo appena visto anche col covid-19. Vogliamo essere sempre i primi della classe agli occhi del mondo.

Nella giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia del maggio scorso, il Presidente Mattarella e il premier Conte hanno spudoratamente tirato la volata alla nuova legge, ma dalla Chiesa italiana non è arrivata una parola. Quando scoppiano casi di relazioni omosessuali nelle parrocchie, sia tra preti che tra educatori, ad essere allontanato è il parroco che denuncia e protesta e non i protagonisti dello scandalo, come è successo per esempio a Staranzano, in quel di Gorizia.

In Germania è già pronto il rito di benedizione in chiesa per le coppie omosessuali e per i divorziati risposati in ossequio ad Amoris laetitia, e così sarà ben presto anche da noi. Tra i lettori di queste righe c’è qualcuno che ricorda una chiara presa di posizione del proprio vescovo sull’omosessualità? Io certamente no. Ma se nemmeno nei seminari viene insegnata la corretta morale sessuale e la corretta pastorale in questi casi, come pretendere che ci siano sacerdoti e catechisti che andranno in galera? Nessuno andrà in galera perché in galera ci si sono già messi da soli.

Queste osservazioni hanno a che fare con la strategia da seguire. Quando si pensa di avere un esercito alle spalle si agisce in un certo modo. Se invece si prende atto di essere dei piccoli avamposti dalle forze limitate si agisce in altro modo. E certo un esercito di sacerdoti e catechisti che corrono il rischio di andare in galera non c’è, ed è ingenuità pensarlo. Allora la strategia deve assumere un primo criterio: la lotta non è solo contro i laicisti al governo o fuori del governo ma è anche contro sacerdoti e catechisti che si sono chiusi la bocca. Deve essere chiaro che posizionarsi contro la legge Zan significa disturbare molti dentro la Chiesa - anche in alto - e non solo fuori di essa. Se manca questa consapevolezza si finirà per rimanere spiazzati prima di tutto dai “nostri”, che con gli altri si sono già “accordati”. E nessuno dei nostri verrà a salvare il soldato Ryan quando egli si troverà disperso tra le linee nemiche: la trama del film “Behind Enemy Lines” con Gene Hackman e Owen Wilson non è roba da cattolici di oggi.    

Poi c’è l’altro errore di puntare solo sul diritto alla libertà di parola. Sacerdoti e catechisti – si dice contro la “legge bavaglio”- hanno diritto di parola, così come chi dice che bisessuale è bello e buono. Lo Stato dovrebbe permettere a tutti di dire la propria. Ma questa concezione dello Stato come neutro da etica e religione, e quindi come tutto tollerante e tollerante tutto, è proprio quella che conduce alla legge Zan. È lo Stato che sulla tolleranza fonda l’intolleranza, come disse Benedetto XVI: “La vera minaccia di fronte alla quale ci troviamo è che la tolleranza venga abolita in nome della tolleranza stessa” (in Luce del Mondo). È lo Stato che vieta la libertà di espressione a chi sostiene che la verità è intollerante e che ci sono cose che non si possono tollerare. La lotta alla legge Zan basata sulla libertà di espressione di sacerdoti e catechisti è perdente. Essa deve fondarsi sulla verità e il bene e sul fatto che ci sono dei mali che l’autorità politica può al massimo tollerare a determinate condizioni ma mai approvare come forme di bene pubblico.  

I numeri in parlamento per l’approvazione della legge ci sono. Cinque stelle, PD e Italia viva – i partiti benvoluti e appoggiati dai vertici ecclesiastici italiani - litigheranno su tutto ma non su questo. Qualche avamposto cattolico militante tenterà il tutto per tutto ma, illudendosi di essere appoggiato dalla Chiesa e dal mondo cattolico, verrà poi sconfessato e abbandonato a se stesso. Questa è la situazione. Prendiamone atto e a partire da qui cominciamo a riorganizzare le cose.