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Omoeresie

Omoeresia al potere, la Chiesa cede anche sulla famiglia

All'Incontro mondiale delle famiglie che si svolgerà a Dublino in agosto, parola anche a padre Martin e alle sue rivendicazioni Lgbt.

Gender Watch 14_06_2018

Ha ovviamente attirato molta curiosità – nonché polemiche - la notizia che padre James Martin, gesuita americano alfiere dei diritti Lgbt nella Chiesa, sarà un relatore ufficiale al prossimo Incontro mondiale delle Famiglie che si svolgerà a Dublino dal 21 al 26 agosto. Martin, il cui libro “Un ponte da costruire” è stato appena tradotto in italiano, sarà chiamato a parlare dell’accoglienza delle persone Lgbt e dei loro familiari nelle parrocchie.

Di padre Martin e delle sue idee sull’omosessualità molto distanti dal Catechismo della Chiesa cattolica ci siamo già occupati in diverse occasioni (clicca qui, qui e qui) e la sua partecipazione all’incontro di Dublino manda quindi un messaggio chiaro di apertura alle coppie gay. Del resto già a Philadelphia tre anni fa l’allora presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, monsignor Vincenzo Paglia, aveva detto che non ci sarebbero state preclusioni verso qualsiasi tipo di famiglia.

Ma a Dublino, sotto la guida del nuovo Dicastero per la Famiglia, i laici, la vita diretto dal cardinale Kevin Farrell, fin dall’inizio c’è stata la volontà di essere ben più espliciti. Basti ricordare che lo scorso autunno la prima versione del materiale preparato per le catechesi vedeva presentate come forma appropriata di famiglia anche le coppie omosessuali, con tanto di disegni espliciti. Le proteste seguite avevano consigliato di escludere quelle parti dalla versione definitiva, ma un altro Martin, Diarmuid, l’arcivescovo di Dublino, affermava che comunque l’Incontro mondiale delle famiglie sarebbe rimasto «un evento inclusivo, aperto a tutte le famiglie». Come dire che anche quelle unioni tra persone dello stesso sesso vanno considerate tali, seppure in senso lato.

La vicenda Martin in ogni caso ci dà la dimensione di quanto la Chiesa abbia ceduto alla mentalità mondana. Basta tornare indietro di 24 anni, a quel 1994 in cui san Giovanni Paolo II convocò a Roma il primo Incontro mondiale delle famiglie. L’Onu aveva proclamato quello come l’anno internazionale della famiglia e anche la Chiesa colse l’occasione per proclamare un anno dedicato alla famiglia. Il Papa era ben consapevole che intorno alla famiglia si giocava la partita decisiva dell’umanità (aveva da poco fondato il Pontificio Consiglio per la Famiglia e l’Istituto di studi su matrimonio e famiglia) e desiderava che le famiglie cristiane prendessero coscienza della propria identità, del significato della «comunione dell’uomo e della donna nel matrimonio» che genera la vita.

Non solo una difesa davanti all’attacco che il mondo stava portando all’istituto della famiglia naturale, ma una famiglia «in primo piano nell’opera della nuova evangelizzazione». Da qui l’iniziativa dell’Incontro mondiale delle famiglie, preceduto da un congresso teologico-pastorale che avrebbe dovuto aiutare ad approfondire le ragioni e le dimensioni del matrimonio cristiano.
A caricare di ulteriori motivi l’incontro del Papa con le famiglie in quell'ottobre 1994, c’era stata nel mese precedente la Conferenza Internazionale dell’Onu su popolazione e sviluppo al Cairo, dove l’attacco alla famiglia era apparso in tutta la sua virulenza.

La delegazione della Santa Sede aveva dato battaglia per mesi non solo intorno alla contraccezione e all’aborto, che Stati Uniti (amministrazione Clinton) e Unione Europea volevano imporre a tutto il mondo, ma anche intorno alla concezione di famiglia: si voleva infatti a tutti i costi inserire nel documento finale il concetto di “famiglie” - negando l’unicità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna - insieme al riconoscimento di cinque generi (in pratica il programma Lgbt). Alla fine la Santa Sede, che aveva coalizzato intorno a sé molti governi dell’America Latina e dei paesi islamici, riuscì a respingere il tema dei generi al posto del sesso maschile e femminile e limitò i danni sul tema famiglia. Ma ben sapendo che era solo l’inizio di una grande guerra: per questo il primo Incontro mondiale delle famiglie fu dominato dalla necessità di riaffermare l’unicità dell’istituto familiare naturale, e del suo insostituibile ruolo sociale.

Dopo 24 anni, dobbiamo invece constatare che è proprio un Incontro mondiale delle famiglie organizzato dalla Chiesa a sdoganare e promuovere quel concetto di “famiglie” (inteso proprio come diversità di unioni possibili) contro cui si era battuto san Giovanni Paolo II. Troviamo una Chiesa che abbraccia oggi quell’ideologia propagata grazie alle agenzie dell'Onu contro cui si era battuta fino a poco tempo fa e contro cui dovevano anche servire gli Incontri mondiali delle famiglie. Ironia della sorte a fare da ospite per questa perversione dell’intuizione originale è quell’arcivescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin, che al Cairo era il combattivo numero 2 della delegazione vaticana.

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