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SAN LORENZO

Oltre le stelle, il martire che ha protetto il Graal

La tradizione delle stelle cadenti nulla ha a che vedere col martirio del Santo a cui papa Sisto II aveva affidato il glorioso calice.

Attualità 10_08_2011
San Lorenzo

«San Lorenzo, perché tanto di stelle per l’aere turchino arde e cade?». Così inizia la poesia del Pascoli X agosto, e io, scolaro elementare, mentre, costretto, la imparavo a memoria, mi chiedevo che cosa significasse quella «x». Solo alle medie avrei saputo che non era una lettera ma il numero romano che sta per 10.

Il poeta aveva i suoi motivi (l’omicidio del padre) per collegare le festa di San Lorenzo al «pianto di stelle», ma il martire del III secolo non c’entrava con le meteore che si incendiano brevemente entrando nell’atmosfera. Io le ricordo, bisognava guardare in direzione delle Pleiadi, di notte e in campagna, attorno, appunto, al 10 agosto. Ma tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, quando l’inquinamento, anche quello luminoso, rendeva i cieli notturni del Sud letteralmente tempestati di stelle.

No, non è per il povero Lorenzo che il cielo estivo piange. Se proprio si vuol cercare il meraviglioso nella vicenda di San Lorenzo, tanto vale puntare più in alto, a quella «leggenda delle leggende» che è il Graal. Sì, perché Lorenzo vi ha a che fare. E non è detto che sia una leggenda. Ma procediamo con ordine.

Lorenzo era uno dei diaconi di papa Sisto II al tempo delle persecuzioni. A Lorenzo era affidata anche la cassa della diocesi di Roma; in particolare, spettava a Lorenzo occuparsi dell’assistenza. Gli Apostoli avevano creato i primi sette diaconi appunto per questo, per sgravare se stessi dall’incombenza di dover provvedere alle vedove, agli orfani e ai bisognosi con i fondi che i primissimi cristiani mettevano in comune. Sisto II subì il martirio, poi toccò a Lorenzo.

A quest’ultimo fu riservato il supplizio della graticola perché rivelasse dove aveva messo le «ricchezze» della Chiesa. Lui indicò i poveri, per cui quelle «ricchezze» erano state spese. Poi gridò al carnefice che poteva anche rigirarlo, visto che da un lato era già «cotto», e rese l’anima a Dio. Lorenzo era ispanico, per questo il cattolicissimo imperatore Filippo II diede alla sua reggia la forma di un «escorial», una graticola.

Ebbene, nell’anno 258, poiché le cose si stavano mettendo male, Sisto II aveva affidato a Lorenzo alcuni preziosi oggetti da mettere al sicuro. Preziosi per la fede, s’intende. Lorenzo li aveva portati nel suo paese, a Huesca. Tra questi oggetti c’era anche una coppa di agata pregiata, quella con cui il papa diceva messa. Perché era speciale, quella coppa? Perché con essa usava celebrare San Pietro, che l’aveva portata a Roma da Antiochia, e ad Antiochia l’aveva portata da Gerusalemme. Con quella coppa i suoi ventidue successori celebrarono fino al tempo di Sisto II. Era la coppa che Gesù aveva usato nell’Ultima Cena. In essa il vino era stato trasformato nel suo Sangue. Infatti, la frase con cui nella messa si procedeva alla consacrazione era da considerarsi letterale: «…prese questo glorioso calice…». Ma la coppa che contenne il Sangue di Cristo è il Graal.

Che fine fece il Graal di Huesca? Attraversò il secoli passando per varie mani, sempre portato al sicuro per sottrarlo prima ai Vandali, ariani, e poi ai musulmani. Nel 1399 il re d’Aragona, Martín I, lo fece porre nella cattedrale di Saragozza e impreziosire con aggiunte in oro. Nel 1424 il re Alfonso il Magnanimo lo donò alla città di Valencia, che dal 1437 lo custodisce nella sua cattedrale. Con esso i papi Giovanni Paolo II e l’attuale Benedetto XVI, in visita, hanno celebrato la messa. Nel XX secolo è stato sottoposto a esami da parte di un pool di studiosi, i quali hanno concordemente convenuto che si tratta effettivamente di un oggetto in uso nella Palestina del I secolo.

Perché nel Medioevo il Graal si considerava «perduto» e, dunque, leggendario? Per il semplice fatto che la Spagna era dominata dagli islamici. E chi sapeva dov’era il Graal si guardava bene dall’aprire bocca.