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COMUNISMO CINESE

Olimpiadi di Pechino, una vetrina per il regime

Se uno solo dei crimini di cui la Cina è accusata fosse stato commesso da un qualunque Paese democratico occidentale, al boicottaggio delle Olimpiadi, anche atletico oltre che solo diplomatico, avrebbero aderito sicuramente molti più Paesi. Perché sul regime comunista cinese solo pochi osano parlare? 

Editoriali 07_02_2022
Xi Jinping all'apertura dei giochi di Pechino

Le Olimpiadi di Pechino sono iniziate venerdì sera, nel pieno di una nuova ondata di Covid che sta colpendo anche il luogo natale della pandemia. Nel mezzo della polemica internazionale sui sospetti (più che fondati) che nello Xinjiang sia in corso, se non un genocidio, almeno una persecuzione di massa degli uiguri. Iniziano all’indomani della dura repressione del dissenso a Hong Kong. E durante una crisi sempre crescente, anche militare, sullo status di Taiwan. Cosa poteva andare storto?

Già all’atto della cerimonia di apertura, la Cina ha fatto comprendere al mondo di non temere alcuna critica. Anzi, ha ostentato proprio tutto ciò che le viene contestato. Nella sontuosa coreografia del regista Zhang Yimou, la bandiera della Repubblica Popolare Cinese è passata di mano in mano ai rappresentanti delle 56 etnie presenti in Cina. Come se il regime di Pechino fosse garante del massimo pluralismo etnico e nessuno sapesse quale sorte stia toccando, non solo agli uiguri, ma anche alle altre popolazioni turcofone, ai tibetani e ai mongoli, tutti vittima di una politica di sinizzazione, effettuata anche a colpi di sterilizzazioni forzate e deportazioni in campi di “rieducazione”. Toccando il massimo dell’ipocrisia, la fiamma olimpica è stata portata da due atlete, di cui una uigura. Non una campionessa, bensì una sciatrice di fondo che il giorno dopo è arrivata 43ma nella prima gara. Scelta, dunque, solo perché uigura. Proprio gli uiguri, sulla cui persecuzione sistematica il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu sta completando un rapporto ufficiale proprio in queste settimane.

La squadra di Taiwan (che inizialmente non voleva neppure presentarsi alla cerimonia di inaugurazione) è stata introdotta come “Taipei cinese”, gioco di parole diplomatico per evitare di pronunciare il nome “Taiwan”. La Cina ritiene che sia solo una provincia ribelle, dal 1949, da quando era ultimo baluardo dell’esercito nazionalista sconfitto dai comunisti. Non ne ha mai accettato l’indipendenza de facto. La televisione nazionale cinese, nella telecronaca dell’evento, ha chiamato la squadra di Taiwan come “Taipei, Cina”, come se Taipei, capitale di Taiwan, fosse una città a tutti gli effetti cinese. Stesso trattamento riservato anche alla squadra di Hong Kong, che ormai ha perso tutta la sua autonomia politica. «Quando le squadre di Taiwan e di Hong Kong sono entrate nello stadio, la telecamera ha inquadrato il Presidente. Non un solo centimetro della patria deve essere perso!» ha scritto sul social network Weibo, un commentatore cinese, riassumendo lo spirito e il senso della cerimonia.

Pochi Paesi stanno boicottando delle Olimpiadi che si sono da subito rivelate la vetrina politica del regime comunista cinese. Nessuno ha boicottato i giochi, le squadre atletiche ci sono tutte, ma Usa, Regno Unito, Canada, Australia, India, Lituania, Kosovo, Belgio, Danimarca, Estonia stanno praticando un boicottaggio diplomatico, dunque non inviando rappresentanti politici ad assistere ai giochi. In Unione Europea, se li si conta, sono pochi e piccoli i boicottatori, appena 4 su 27 membri (Belgio, Danimarca, Lituania ed Estonia). In un periodo in cui fa scandalo praticamente tutto ciò che riguarda, anche lontanamente, il razzismo e lo schiavismo, come mai i lavori forzati degli uiguri in Cina, perseguitati solo su base etnica, non suscitano manifestazioni di sdegno o richieste di boicottaggio? Se non viene ritenuta ammissibile neppure una battuta sull’islam, come si può inviare pacificamente i propri rappresentanti politici nel Paese in cui si sta commettendo la singola maggior repressione dei musulmani nel mondo? Perché, nel caso della Cina, neppure i Paesi islamici (sempre pronti ad accusare europei e americani di “islamofobia”) protestano a gran voce? La persecuzione dei cristiani, in compenso, non fa mai notizia. Eppure dovrebbe farla, perché la Cina si colloca al 17mo posto nel mondo, quanto a intensità di aggressioni ai cristiani, secondo la World Watch List dell’associazione Open Doors.

Il rispetto dell’ambiente e il controllo delle emissioni stanno diventando una questione dirimente, per politici e investitori. Ebbene, la Cina è il Paese più inquinato del mondo, ancora oggi. Ed è quello che, in termini assoluti, emette più CO2. E sta progettando di costruire più centrali termiche di tutte quelle europee messe assieme.

I giornalisti si stanno rendendo conto di avere pochissima libertà di cronaca e soprattutto nessuna libertà di movimento. Un cronista sportivo olandese, durante la diretta fuori dallo stadio nazionale di Pechino, è stato portato via di peso da un poliziotto in borghese. Le restrizioni imposte sono sia per motivi di sicurezza, sia a causa del Covid. Ma anche solo per questo, quanti dimenticano che la pandemia che sta rovinandoci la vita è partita proprio dalla Cina? E la responsabilità è del regime cinese. Che sia partita da un laboratorio o da un mercato, la nuova malattia è stata tenuta deliberatamente nascosta dalle autorità comuniste, finché non era troppo tardi.

Se uno solo dei crimini di cui la Cina è accusata fosse stato commesso da un qualunque Paese occidentale, al boicottaggio, anche atletico oltre che solo diplomatico, avrebbero aderito sicuramente molti più Paesi. L’Europa avrebbe fatto sentire la sua voce. Perché sulla Repubblica Popolare pochi osano parlare? L’argomento “follow the money” non è esaustivo. È vero che gli affari in Cina, potenzialmente il mercato più grande del mondo, fanno gola a tanti. Ma per affari non si arriva a tacere sui crimini, non fino a questo punto. Anche l’idea che il comunismo maoista attiri tutti questi simpatizzanti, mezzo secolo dopo il Libretto Rosso, non è più credibile. La risposta si può trovare, piuttosto, nella stessa logica di quella rivoluzione “woke” che condanna senza appello il passato (razzista, colonialista, schiavista, paternalista, ecc…) dell’Europa cristiana, ma tace su crimini che la Cina sta commettendo ora, sotto gli occhi di tutti. La Cina è ancora vista come “vittima” del razzismo. Gli unici veri carnefici sono europei e cristiani, gli altri sono vittime. Anche se sono la seconda potenza economica del mondo.