Occorre riordinare le istituzioni europee
di Monti, di Gianfranco Fabi
Giovedì prossimo il nuovo premier Mario Monti si incontrerà a Strasburgo con la cancellliera tedesca Angela Merkel e con il presidente francese Nicolas Sarkozy. Nei limiti di una situazione anormale – in cui l’Unione Europea viene rappresentata non dai suoi organi propri bensì dai capi di governo dei maggiori Paesi dell’eurozona – si tratta di un ritorno alla normalità. Dopo la Germania e insieme alla Francia l’Italia infatti, a questo punto giova ricordarlo, è appunto uno di questi Paesi. Così stanno le cose al di là della campagna di discredito, montata in sede europea nelle scorse settimane, a sostegno delle forze mobilitatesi nel nostro Paese per far cadere il governo Berlusconi in modo extra-parlamentare.
Si aggiunga poi che in questo ambito non è vero che ci sono due giudiziose formiche, la Germania e la Francia, e una sventata cicala, l’Italia. Per dare tale impressione nelle scorse settimane non si è parlato altro che del differenziale (spread) fra i buoni del Tesoro tedeschi, i cosiddetti Bund, e gli analoghi titoli italiani. Poi, caduto Berlusconi, siamo stati autorizzati ad accorgerci che quello relativo ai buoni del Tesoro francesi era sulla stessa strada, per non dire di quello dei buoni del Tesoro della Spagna. Quella Spagna che ad ogni buon conto, anche questo non va dimenticato, non è l’ultimo dei grandi Paesi dell’eurozona bensì il primo dei piccoli; in effetti ne è il maggior problema essendo grande abbastanza da far diventare insostenibile la sua eventuale bancarotta.
Spenti i riflettori che erano, dicevamo, un po’ artificiosamente puntati sui differenziali fra i vari buoni del Tesoro, si dovrà pur ritornare a quelli che sono i veri problemi-chiave strutturali e congiunturali del momento: l’anomalia di una Banca centrale, la Bce, la quale non ha strumenti per difendere la moneta che per statuto dovrebbe presidiare, e rispettivamente la situazione dei veri casi gravi dell’attuale crisi ovvero le grandi banche francesi e tedesche che hanno nel loro portafoglio il grosso del debito estero della Grecia. Stando così le cose ci si deve attendere che il nostro governo non si accontenti di esser stato ammesso a quel salottino ma che trasformi il “venga a prendere un caffè da noi” in un’occasione per riavviare quel riordino delle istituzioni europee che è ormai improcrastinabile.
In tale prospettiva sarebbe tuttavia un errore credere che il nostro Paese possa semplicemente puntare a divenire il terzo angolo di un’eventuale triangolo italo-franco-tedesco. Come già altrove ricordavamo, in forza del trattato dell’Eliseo e di tutto ciò che da esso consegue, Germania e Francia sono legate tra loro da un legame così strutturato e così stretto da essere quasi confederale. Chiunque tenti di rimetterlo in qualche modo in discussione finisce fatalmente per fare la parte del terzo incomodo. Al tavolo europeo possiamo pesare solo nella misura in cui al nostro peso specifico aggiungiamo anche quello che deriva dal nostro ruolo obiettivo di primo interlocutore dei Paesi danubiani e dei Paesi del mediterraneo, il che implica tuttavia una politica estera più attiva di quella che il governo Monti sembra aver messo in programma.