Obiettivo Marino: tanto peggio (per il Pd), tanto meglio
Per essere un marziano non si può dire che Ignazio Marino non abbia capito come si fa a tenere in scacco una capitale, un partito, un premier. Il sindaco dimissionario di Roma non sembra avere alcuna intenzione di sloggiare. Probabile che revochi le dimissioni e decida di farsi sfiduciare in aula dal suo partito.
Per essere un marziano non si può dire che Ignazio Marino non abbia capito come si fa a tenere in scacco una capitale, un partito, un premier. Il sindaco dimissionario di Roma ha deciso di asserragliarsi al Campidoglio e non sembra avere alcuna intenzione di sloggiare. Fra 5 giorni le sue dimissioni diventeranno effettive, ma a questo punto appare probabile che il diretto interessato le revochi e decida di farsi sfiduciare in aula dal suo partito.
La strategia del primo cittadino della Capitale appare ormai chiara: fare in modo che il suo partito voti contro di lui insieme con le opposizioni di centrodestra. A quel punto potrebbe inalberare il vessillo della moralizzazione della politica e dimostrare che tutti i partiti si sono saldati contro di lui. Passare per vittima, per agnello sacrificale, per martire della politica inquinata è il suo vero obiettivo, che, nelle sue intenzioni, dovrebbe consentirgli di giocare poi la sua campagna elettorale con un’immagine davvero alternativa a quella del sistema di Mafia Capitale. Ieri, inaugurando un viadotto in periferia, lo ha lasciato intendere: «La mia è una giunta che lavora e che guarda avanti. Roma ha patito corruzione e criminalità, noi abbiamo mostrato discontinuità. Questo ponte è stato realizzato in pochi mesi come i lavori in via Marsala. In questi giorni inaugureremo altri cantieri. Roma deve andare avanti».
Marino continua così a ignorare il pressing del suo partito e, in particolare del commissario Orfini, che gli chiede con insistenza di farsi da parte e di non ritirare le dimissioni. I 19 consiglieri comunali dem sarebbero pronti a dimettersi il 2 novembre qualora il primo cittadino decidesse di resistere. Se il sindaco dovesse rivedere la sua scelta di dimettersi, si potrebbe quindi arrivare a una mozione di sfiducia, che il Partito democratico dovrebbe però firmare assieme alle opposizioni, oppure alle dimissioni in blocco di 25 consiglieri (19 sono quelli del Pd, altri 6 andrebbero comunque pescati tra le altre forze politiche, dal M5s a Fratelli d'Italia). In entrambi questi scenari, Marino avrebbe buon gioco nel presentarsi agli occhi dei romani come il sindaco onesto silurato da un fronte destra-sinistra che è poi lo stesso schieramento trasversale coinvolto nell’inchiesta Mafia Capitale. Questa rappresentazione potrebbe avere la sua presa sull’opinione pubblica, visto che il 5 novembre prenderà il via proprio il processo per quegli episodi di diffuso malaffare che vedono coinvolti esponenti del Pd e delle forze di centrodestra.
Di qui l’ipotesi, che sembra farsi strada nelle ultime ore, di un’uscita dall’aula dei 19 consiglieri Pd al momento del voto sulla sfiducia al sindaco, proprio per non apparire alleati dei partiti che sostenevano Alemanno e per non offrire a Marino un’arma preziosissima di propaganda per la prossima campagna elettorale. Domenica pomeriggio, affacciato sulla piazza del Campidoglio riempita dalla folla dei suoi sostenitori, il chirurgo aveva infatti lasciato intendere di voler tornare indietro sulla sua decisione arrivata dopo lo scivolone sul caso degli scontrini sospetti per le spese di rappresentanza, sui quali, va ricordato, è in corso un’indagine della Procura di Roma. «Mi chiedete di ripensarci?», aveva detto ai suoi supporter, «Non vi deluderò». Li’ si è capito che il braccio di ferro con il suo Pd era solo agli inizi e che il sindaco avrebbe venduto cara la pelle. Ma il suo appare un tentativo alquanto disperato. Lo stesso vicesindaco Marco Causi ieri ha ribadito che «la posizione di Marino è quella di un arroccamento privo di sbocco politico».
Il premier avrebbe chiaramente escluso di incontrare il sindaco prima della scadenza del 2 novembre. Solo se confermerà le sue dimissioni potrebbe accettare di riceverlo a Palazzo Chigi per quel chiarimento che il chirurgo si ostina a pretendere dal suo partito. Ma dando ormai per scontato che Marino, con le buone o con le cattive, dovrà andarsene e che presto Roma finirà nelle mani di un commissario, che scenari si aprono per il futuro governo della capitale? Al momento appare remota la riconferma del Pd alla guida della città. Troppo compromessa l’immagine del partito, come confermano peraltro gli ultimi sondaggi. Anche con un candidato forte e autorevole che renda inutili le primarie, alle quali teoricamente potrebbe partecipare pure lo stesso Marino, ben difficilmente i dem riusciranno ad avere la meglio sul centrodestra e sul Movimento Cinque Stelle. Il rischio serio, per il partito del premier, è quello di non arrivare neppure al ballottaggio.
I favori dei pronostici, ora come ora, vanno ai pentastellati, ma un retroscena li vorrebbe abbastanza frenati nella rincorsa al Campidoglio. Conquistare la guida di una capitale al dissesto e pressoché ingovernabile, da una parte incoronerebbe i grillini come la vera forza politica di cambiamento, dall’altra, vista anche l’inesperienza di buona parte della classe dirigente del movimento Cinque Stelle, rischierebbe di rivelarsi un boomerang. Fallire a Roma significherebbe compromettere la propria immagine in vista delle elezioni politiche che, con il premio di maggioranza al primo partito, restano il vero traguardo dei grillini.