Obamacare, i conservatori fanno un errore da dilettanti
Il dibattito fra conservatori massimalisti e riformisti manda a ramengo il primo tentativo di smantellare e rimpiazzare l'Obamacare, la riforma sanitaria introdotta da Barack Obama. Era dal 2010 che i Repubblicani lottavano per questo obiettivo, ora che ne hanno avuto l'occasione l'hanno buttata.
Venerdì 24 marzo la Camera dei deputati degli Stati Uniti a maggioranza repubblicana conservatrice ha bocciato la proposta di modificare l’ultraprogressista “Obamacare” e così, in una manciata di secondi, l’ottimo sperato dagl’intransigenti ha cancellato il bene possibile a cui avevano lavorato il presidente Donald J. Trump e il leader della Camera Paul Ryan.
Tutto è cominciato molti anni fa. Barack Obama firmò la legge di riforma della Sanità, intitolata “The Patient Protection and Affordable Care Act” e ribattezzata dai media “Obamacare”, nel marzo 2010 e dal giorno dopo i Repubblicani hanno cercato in ogni modo di smantellarla o comunque di eroderla. Ai loro occhi essa rende infatti l’intero sistema previdenziale più costoso, è un regalo indebito dello Stato all’industria assicurativa, favorisce l’ennesima intrusione statalistica nella vita dei cittadini dal momento che impone l’obbligo di scegliere uno dei piani assicurativi autorizzati per tornaconto dallo Stato ed è letteralmente immorale visto che costringe i datori di lavoro, anche contro la propria coscienza, a coprire i costi di contraccezione, aborto e sterilizzazione richiesti dai dipendenti alla voce “salute”.
In questa battaglia, sempre aspra e sempre vilipesa da chi, mentendo, ha difeso a spada tratta l’“Obamacare” con il mantra della “sanità per tutti”, si è sempre più distinto Paul Ryan, cattolico, nato nel mondo dei “Tea Party”, candidato alla vicepresidenza con Mitt Romney nel 2012 e presidente della Camera federale di Washington dal 2015.
Nei sette anni di questa battaglia, gli sforzi dei Repubblicani soprattutto alla Camera per guastare questo o quell’aspetto della riforma obamiana sono stati decine, tutti profusi nel tentativo di colpirne il cuore pur per vie secondarie come i ribelli di Star Wars distruggono la Morte Nera con un colpo singolo dentro un condotto di scarico che nessuno riteneva pericoloso ma invece collegato al reattore centrale, o come quegli Hobbit de Il Signore degli Anelli tanto piccoli da non essere ritenuti minacciosi dall’Oscuro Signore che pensa ci si debba misurare sempre e solo con i grandi, o ancora, e meno letterariamente, come l’assassino Al Capone bloccato per avere evaso il fisco. Ma per tutti quei sette anni il fianco debole, il tallone di Achille, la breccia che crepa irreparabilmente il bastione non è stato trovato. Troppo impenetrabile è stato il muro di cinta con cui Obama ha saputo proteggere la propria creatura.
Quando però ogni speranza sembrava perduta, è arrivato Trump. Che non è affatto san Giorgio cavaliere, ma che convintamente e volentieri si è messo a disposizione del fronte deciso a smantellare i danni dell’“Obamacare”. A quel punto la speranza è rinata. Quando Trump ha vinto le elezioni l’8 novembre, non solo la speranza ma il risultato è sembrato arrivare. Tanto quanto la riforma sanitaria è stata, nella realtà e nella percezione, il simbolo dell’era Obama, la volontà netta di affossarla è così diventata l’idea-guida dell’incipiente era Trump. Lo slogan che è corso di bocca conservatrice in bocca Repubblicana è stato «repeal and replace», “ripudiare e rimpiazzare”. Venerdì, però, nel momento clou di tutta la vicenda, il castello di speranze è crollato come sabbia soffiata via dal vento. Giunti al dunque, tutti hanno constatato che nessuno aveva mai seriamente pensato quale «repeal» e quale «replace». O meglio (perché non è bene fare i Repubblicani della Camera più sciocchi di quel che sono) che c’erano tanti «repeal» quanti «replace» sono stati proposti; e che un conto è voler combattere un male come la riforma sanitaria di Obama, ben altro essere d’accordo sul come.
Da settimane il mal di pancia angustiava i Repubblicani, divisi a un di presso (ma non grossolanamente) tra chi mirava al “tutto subito” per spazzare l’“Obamacare” oggi rimandando a domani la discussione su come sostituirlo e chi mirava a neutralizzarne gli effetti per tappe senza creare vuoti legislativi. Insomma, tra l’abrogazione completa e la riforma graduale. Due modi diversi per raggiungere il medesimo scopo. La sfida l’ha vinta chi ha voluto la cancellazione totale e immediata dell’“Obamacare” con il risultato che così l’“Obamacare” resta al suo posto e lì vi resterà verosimilmente a lungo. I Repubblicani, infatti, non hanno raggiunto la maggioranza necessaria a colpire al cuore l’“Obamacare” perché gl’intransigenti si sono espressi contro la proposta di riformarla radicalmente.
Descrivere lo scontro andato in scena come un braccio di ferro tra conservatori e moderati sarebbe da ignoranti (Moderato Trump? Moderato Ryan?). I Repubblicani della Camera sono tutti conservatori, e per di più sono tra i Repubblicani più conservatori di sempre. No, si è trattato di una sanguinosa, triste guerra civile tra conservatori, una lotta fratricida fra realisti e massimalisti.
I Democratici, i liberal di errori così non ne fanno mai, né negli Stati Uniti né in altri Paesi. Senza mai abbandonare l’orizzonte ideale, sanno accontentarsi dei passi alla volta. È un guaio serio. Ancora una volta, infatti, i conservatori mostrano di essere così buoni da produrre effetti cattivi. Finora è stato uno dei problemi della crescita di questi “giovani di belle speranze”; adesso sarebbe però il momento di diventare grandi.