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KUALA LUMPUR

Obama e l'Isis il momento della svolta

Nella capitale malese, Barack Obama annuncia una svolta nel conflitto contro l'Isis, affermando in termini perentori che lo Stato Islamico deve essere distrutto sul campo. Gli Usa non avrebbero alcun problema a vincere la guerra. Più difficile pensare a come potrebbero gestire e "vincere" la pace.

Editoriali 24_11_2015
Barack Obama

Chissà mai perché ha scelto per annunciarla Kuala Lampur - ove si trovava per l’annuale riunione dei capi di stato e di governo dell’Associazione dei Paesi del Sudest asiatico, Asean – ma sta di fatto che dalla capitale malese Barack Obama ha annunciato una radicale svolta della politica del suo governo riguardo all’Isis. “Distruggemo l’Isis sul campo di battaglia senza rinunciare ai nostri valori, grazie alla nostra coalizione (…)", ha dichiarato con tono perentorio il presidente americano.

La potenza militare degli Usa è smisurata: le loro forze armate sono di gran lunga più potenti di quelle di tutto il resto del mondo messe insieme. Il loro controllo delle “autostrade telematiche”  e quindi dello spazio aereo strategico, è poi assoluto alla scala planetaria: niente può venire trasmesso e può volare a lungo nei cieli del mondo senza il loro esplicito o implicito consenso. Da ciò deriva – osserviamo qui per inciso – una drammatica conseguenza: chi decide di essere nemico degli Usa e dei loro alleati ha una sola arma efficace, il terrorismo, che consiste in attacchi improvvisi e indiscriminati a obiettivi civili compiuti con mezzi il cui spostamento e il cui impiego sfuggono al controllo per via telematica.

Se lo vogliono, gli Usa sul campo di battaglia possono distruggere chiunque, e tanto più delle bande armate con armamento raccogliticcio come in effetti sono le forze  dell’Isis. Resta poi da vedere con quali danni ai luoghi e con quali perdite di civili inermi tanto più considerando che non solo l’Isis ma nessuna forza armata araba in genere consente o tanto meno agevola l’allontanamento dei civili dai luoghi che stanno per trasformarsi in un campo di battaglia.

Se la vittoria militare è sempre a portata di mano degli Stati Uniti non altrettanto si può tuttavia dire di quanto accade dopo.  Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, vinta la guerra hanno poi molto spesso… perso la pace. Ciò è accaduto perché non hanno poi voluto far seguire alla fine delle operazioni militari la firma di trattati di pace, ovvero l’hanno ritardata per decenni. Adesso sembra invece che l’esperienza stia finalmente insegnando loro qualcosa. Già poco prima delle dichiarazioni di Obama a Kuala Lumpur il segretario di Stato americano Kerry in un’intervista a una tv del suo Paese aveva dichiarato che smobilitare le forze armate irachene dopo la sconfitta di Saddam Hussein fu un errore che in Siria, dopo l’uscita di scena di Assad, non sarebbe stato ripetuto.    

A Kuala Lumpur, dopo aver aver ribadito che è necessario "allontanare Bashar al Assad dalla Siria”, Obama ha aggiunto, “ma siamo tutti interessati a mantenere uno Stato siriano, non vogliamo il caos". Concludendo ha ribadito: “Abbiamo visto i problemi che sono sorti in Libano, quando l'apparato statale si dissolve abbiamo visto cosa può succedere, per cui bisogna mantenere uno Stato siriano. Dobbiamo portare avanti una transizione politica e sarà difficile, non sarà facile, però è su questo che dobbiamo concentrarci". Resta dunque la questione di Assad, di cui Obama continua a pretendere l’uscita di scena, e che invece Putin difende. Soprattutto sarebbe interessante sapere che cosa ne pensano i diretti interessati, ossia i siriani. "Non è concepibile che Assad possa riguadagnare legittimità in un Paese in cui la maggior parte della popolazione non vuole più Assad”, ha sostenuto Obama a Kuala Lumpur.  Ma chi l’ha detto? osserviamo noi. E soprattutto: chi può dirlo?

Non è affatto questa l’impressione di chi segue da vicino la situazione in Siria dove risulta siano in realtà numerosi coloro che considerano Assad quantomeno… il meglio del peggio; e fra questi sono la maggior parte dei cristiani. In ogni caso lo si potrebbe  sapere con certezza soltanto quando, in una Siria in cui tacessero le armi e in cui fosse stata ristabilita la pubblica sicurezza, si facessero delle normali elezioni. E’ realistico pensare che ciò possa accadere solo al termine di un periodo di governo di transizione internazionalmente garantito, ma in nome di che cosa ad Assad si potrebbe impedire di candidarsi? Non certo in nome della libertà e della democrazia. Secondo Obama, “la guerra civile non si fermerà se Assad resterà al potere”. Ha ammesso però che “la Russia non si è impegnata ufficialmente a una transizione per fare uscire di scena Assad” e ha poi aggiunto: “Vedremo nelle prossime settimane se possiamo trovare un punto d'incontro, se possiamo aiutare la Russia a cambiare un po' prospettiva". Obama vorrebbe che la Russia cessasse di bombardare le posizioni delle milizie schierate contro Assad  e concentrasse invece tutti i suoi attacchi contro l’Isis, ma a nostro avviso Mosca non lo farà finché non verrà meno la pregiudiziale assoluta di Washington contro Assad. E’ questo il nocciolo della questione: per motivi politici più che militari senza una concorde e forte intesa russo-americana l’Isis non verrà spazzato via. Quindi sulla sorte di Assad una soluzione di compromesso va trovata.