Nuovi preti: sinodali, "moderni", tutto ma non santi
Ripensare il sacerdozio, questo l’obiettivo del Simposio teologico internazionale progettato dalla Congregazione dei Vescovi e presentato alla stampa dal cardinale Marc Ouellet nel segno dello stare al passo coi tempi e della sinodalità. Nessuno ha parlato della “santità” del sacerdote, la quale, in fondo, è l’unica cosa che conta e che sta alla base anche della soluzione dei cosiddetti problemi concreti.
Ripensare il sacerdozio, questo l’obiettivo del Simposio teologico internazionale progettato dalla Congregazione dei Vescovi e presentato alla stampa il 12 aprile scorso dal cardinale Marc Ouellet. Il simposio si terrà dal 17 al 19 febbraio 2022 e avrà per tema generale “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”. Il simposio – ha detto Ouellet – deve cercare la “conversione sinodale” e “dovrebbe offrire una visione rinnovata, un senso dell’essenziale, un modo di valorizzare tutte le vocazioni nel rispetto di ciò che è specifico di ciascuna”.
In questo momento particolare (e difficile) della vita della Chiesa, iniziative di questo genere suscitano interesse e nello stesso tempo apprensione. A leggere le dichiarazioni alla stampa del cardinale viene da chiedersi cosa potrà nascere da questo nuovo cammino e la possibilità di nuovi balzi in avanti che ci allontanano dalla tradizione non lascia sereni. Lo schema proposto da Ouellet gioca su due piani che si richiamano a vicenda: quello delle nuove esigenze dei tempi presenti, con le conseguenti urgenze di aggiornamento, e quello del ritorno alle origini spesso definito come l’”essenziale”. Il rischio è che, in questo modo, non si tenga conto o si consideri di secondo piano, quanto sta in mezzo cui di solito si dà il nome di tradizione. Naturalmente la tradizione c’era già all’inizio e c’è tuttora, ma lo schema dei due poli – l’adesso e l’allora – rischia di schiacciarla o di superarla tramite un lungo ponte o una lunga parentesi.
Nella presentazione del cardinale Ouellet emergono le esigenze della sinodalità che dovrebbero caratterizzare il nuovo ripensamento del sacerdozio. Ma c’è forse oggi concetto più confuso di questo? Al principio di sinodalità sono stati improntati il sinodo dell’Amazzonia e quello ora in atto della Chiesa di Germania. Ambedue hanno dato e stanno dando frutti acerbi e in molti casi indigesti. Anche la Chiesa italiana si sta attrezzando per un suo sinodo, ma anche in questo caso i motivi di preoccupazione superano di gran lunga quelli di entusiasmo e fiducia. In un clima teologico confuso e frammentato, privo di guida certa, come quello attuale, in un sinodo tutto può accadere.
Il cardinale Ouellet definisce così la sinodalità: “Sinodalità significa fondamentalmente la partecipazione attiva di tutti i fedeli alla missione della Chiesa”. L’espressione “partecipazione attiva” ha gli stessi limiti della “actuosa participatio” dei fedeli durante la Messa che sta alla base della riforma liturgica postconciliare e che può facilmente essere intesa – come infatti è ampiamente avvenuto - nel senso di un protagonismo esteriore. Questo indicato dal cardinale è un debole fondamento per il nuovo simposio sul sacerdozio e non offre solide garanzie di un buon esito, anzi induce piuttosto a prevedere il contrario.
Il “camminare insieme”, espressione che di solito si adopera per definire la sinodalità, non ha nulla di esteriore o di sociologico, ma esprime l’intima adesione al Corpo di Cristo che è la Chiesa nel suo cammino storico verso il Compimento. Se invece lo si adopera in questo senso esteriore e sociologico, nasce il pericolo di affrontare anche il sacerdozio con queste chiavi de lettura. Esiste questo pericolo nel simposio voluto dalla Congregazione dei vescovi? Esiste, dato che, per esempio il cardinale Ouellet parla di “riadattamenti pastorali” per adeguare il sacerdozio alle novità del nostro tempo come le “questioni ecumeniche” o il “posto della donna nella Chiesa”. A queste esigenze del nostro tempo, la teologa Michelina Tenace, intervenendo alla presentazione in sala stampa, ha aggiunto i temi del celibato sacerdotale e del rapporto tra sacerdozio comune e sacerdozio universale.
Neanche a farlo apposta, gli organi di stampa, a cominciare da Vatican News e dall’Agenzia Sir – ossia da agenzie della stessa Chiesa -, nel dare la notizia hanno puntato proprio su questi argomenti: ruolo della donna e celibato, nonché sulla ormai onnipresente “conversione sinodale” dalla quale nel simposio potrebbero emergere nuovi impulsi ai sacerdoti sposati e alle donne prete. Spontaneo anche prevedere una riconsiderazione dell’ordine sacro rispetto al sacerdozio universale, sia per venire incontro alle esigenze “ecumeniche” dei rapporti col mondo protestante cui ha accennato Ouellet, e che sarebbero accentuate dalle migrazioni, sia per dare nuovo fiato ad una sinodalità che eviti il “clericalismo”, altra parola, questa, ampiamente abusata oggi.
Nessuno in occasione della presentazione del simposio in sala stampa ha parlato della “santità” del sacerdote, la quale, in fondo, è l’unica cosa che conta e che sta alla base anche della soluzione dei cosiddetti problemi concreti. Uno di questi è considerato dagli organizzatori del simposio quello della solitudine dei sacerdoti. Ma Benedetto XVI diceva che “chi ha fede non è mai solo”. La solitudine dei sacerdoti non si risolve con innovazioni sociologiche, anche se tutti gli aspetti vanno sempre considerati, ma prima di tutto con una santa vita incentrata in Gesù Cristo. Il sacerdote non sarà meno solo perché incontrerà più persone e non sarà attore di comunione per le sue capacità esteriori di socializzazione, ma perché e nella misura in cui esprimerà santità nella sua conformazione a Cristo.