Nuovi poveri e tentazioni stataliste
Quasi 5 milioni di nuovi poveri: l'8% della popolazione italiana fa fatica a nutrirsi e a sopravvivere. Come affrontare l'emergenza? C'è anche l'Alleanza contro la Povertà. Ma non è una proposta priva di ambiguità.
Di povertà si parla tanto, ma raramente si realizza cosa sia la povertà assoluta. Non parliamo, infatti, di famiglie impoverite che devono necessariamente abbassare il loro tenore di vita e rinunciare a molte delle loro abitudini acquisite (immiserendo il loro regime alimentare, rinunciando a viaggi e acquisti…), ma di persone che non hanno letteralmente di che vivere, di 1,7 milioni di famiglie che hanno difficoltà a nutrirsi e ad accedere ai servizi fondamentali. Questa povertà assoluta riguarda ben 4,8 milioni di persone, pari all’8% dell’intera popolazione italiana.
L’emozione suscitata dalla diffusione dei dati Istat sulla povertà ha dato una sveglia al governo Letta, all’opposizione del Movimento 5 Stelle e al mondo dei sindacati e dell’associazionismo cattolico. Mentre il Movimento 5 Stelle ha colto l’occasione per riproporre il suo progetto di distribuire un “reddito di cittadinanza” a tutti i cittadini, il mondo dell’associazionismo si è coalizzato nell’Alleanza contro la Povertà, presentata a Roma lo scorso 11 novembre.
Il reddito di cittadinanza costerebbe 19 miliardi di euro e consegnerebbe ad ogni cittadino, per il solo fatto di essere un cittadino, un assegno mensile. Chi lavora lo integrerebbe al proprio stipendio, chi non lavora può cercare di campare di quello. Si tratta di un modello tipicamente peronista, da Argentina di Peron, dove il presidente “buono” distribuiva soldi ai poveri. Come nel caso latino-americano, spiana la strada agli stessi rischi che hanno portato alla morte economica dell’Argentina: uccidere l’iniziativa privata, indurre al parassitismo (se ho un assegno e ci vivo, chi me la fa fare di cercare un lavoro?) e soprattutto, esaurire le risorse dei contribuenti in un periodo in cui ce ne sono già poche.
Il piano presentato dall’Alleanza contro la Povertà, è decisamente più interessante, costa meno (6 miliardi previsti), è diluito in varie fasi, miranti ad aiutare prima i più bisognosi in pericolo di sopravvivenza e poi risalire ai casi meno d’emergenza. È ancora in fase di progettazione, ma stando a quel che è stato annunciato nel suo documento programmatico consisterà nell’istituzione di un Reddito per l’Inclusione Sociale (Reis), la cui gestione spetterebbe a Comuni, Terzo settore, servizi per formazione/impiego e altri soggetti in chiave sussidiaria. Dunque si tratterebbe di un sostegno “dal basso” e non di soldi a pioggia che arrivano dallo Stato centrale e dunque difficilmente controllabili. Inoltre si tratterebbe di un aiuto vincolato alla ricerca di un lavoro. I membri della famiglia assistita fra i 18 e i 59 anni di età devono attivarsi per trovare un impiego, pena la riduzione o la sospensione dell’aiuto.
Tuttavia, come la storia d’Italia dimostra, le vie dell’Inferno sono lastricate delle migliori intenzioni. E anche il piano dell’Alleanza contro la Povertà rischia di degenerare nella solita politica di assistenzialismo statale, non differente dal reddito di cittadinanza grillino. Quali sono i rischi del piano? In primo luogo, nel documento programmatico viene posta moltissima enfasi sullo Stato. Già al punto 1 si legge: «L’Alleanza chiede al Governo italiano di avviare nel 2014 un Piano Nazionale contro la povertà, di durata pluriennale». E al punto 7, infatti, leggiamo che «A regime la misura dovrà costituire un livello essenziale delle prestazioni sociali e, dunque, interamente finanziato dallo Stato». Come avvertiva l’economista austriaco Ludwig von Mises, “chi controlla i mezzi, controlla i fini”. Un piano interamente finanziato dallo Stato, sarà controllato interamente dallo Stato.
È sussidiarietà questa? La sussidiarietà, il principio su cui si regge gran parte della dottrina sociale della Chiesa, non ha mai prescritto “piani nazionali” “interamente” finanziati dallo Stato centrale. Nella Dottrina Sociale della Chiesa, sin dall’enciclica “Quadrigesimo Anno” (1931) leggiamo infatti: «Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle». Sempre secondo la Dottrina Sociale: «In base a tale principio, tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (« subsidium ») — quindi di sostegno, promozione, sviluppo — rispetto alle minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi possono adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale».
L’atteggiamento politico suggerito è soprattutto quello “negativo”: la conquista di spazi di autonomia (dallo Stato) da parte delle associazioni di volontariato e dalle autorità locali, che dovrebbero poter essere libere di agire per l’aiuto del prossimo: «Alla sussidiarietà intesa in senso positivo, come aiuto economico, istituzionale, legislativo offerto alle entità sociali più piccole, corrisponde una serie di implicazioni in negativo, che impongono allo Stato di astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non devono essere soppiantate».
Sulla tentazione del monopolio di Stato, che tutto ingloba e tutto rovina, la Dottrina Sociale parla chiaro, avvertendo che: «L'esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa».