Nuova Curia, slitta di un anno la riforma del Papa
Servirà un altro anno di lavoro prima che la riforma della Curia romana possa vedere la luce. E questo nonostante nei prossimi giorni il progetto sarà portato all’attenzione dei cardinali in Concistoro. «Non penso però», afferma Marcello Semeraro, vescovo di Albano, «che si vada molto più in là dell’inizio del 2016».
Servirà un altro anno di lavoro, riunioni e consultazioni prima che la riforma della Curia romana possa vedere la luce. E questo nonostante nei prossimi giorni il progetto sarà portato all’attenzione dei cardinali riuniti in Concistoro. È stato il Papa in persona a chiarirlo in una recente intervista, mostrandosi più prudente del coordinatore del C9, il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, che aveva pronosticato un varo della nuova governance già per quest’anno.
A spiegare che ci vorrà ancora del tempo è stato il segretario del gruppo di lavoro, il vescovo di Albano mons. Marcello Semeraro, in un’intervista a Famiglia Cristiana: «Non penso però che si vada molto più in là dell’inizio del 2016. Il lavoro è cominciato, fittissimo, dall’aprile del 2013 e abbiamo già programmato tutti gli incontri del 2015. Il consenso c’è e sarà poi il Papa, naturalmente, ad avere l’ultima parola». Nulla vieta, a ogni modo, che in attesa della nuova costituzione apostolica si possa procedere ad accorpamenti o alla creazione di nuovi organismi, come accaduto un anno fa con l’istituzione della Segreteria per l’Economia. Sul fatto che ci sia consenso sulla necessità di aggiornare ai tempi correnti un sistema di governo risalente alla fine degli anni Ottanta – e che riprendeva in gran parte l’orientamento dato alla curia da Paolo VI negli anni Sessanta – non v’è dubbio. I problemi insorgono quando si tratta di valutare come cambiare la curia.
Monsignor Semeraro ha ricordato che le «novità sono già state annunciate nell’incontro di fine novembre con i capi dicastero e riguardano fondamentalmente l’idea di far convogliare alcuni Pontifici consigli attorno a due grandi poli: laici-famiglia-vita il primo, carità-giustizia-pace il secondo». Proprio nella riunione con i capi dicastero dello scorso novembre, diversi sono stati gli appunti mossi alla sintesi sullo stato dei lavori presentata dal segretario del C9. Più d’un prelato ha, infatti, contestato un piano che rischia di tagliare uffici e Pontifici consigli per accorparli ad altri, non facendo altro che sommare competenze eliminando le peculiarità che oggi contraddistinguono i presenti organismi. Poco gradita risulta essere a molti l’idea di istituire una Congregazione Giustizia e Carità (ma anche sul nome non c’è accordo, dal momento che c’è chi vorrebbe porre più l’accento sulla Pace o sulla Carità rispetto alla Giustizia) dove finirebbero anche i compiti oggi affidati a Cor Unum (il cui ex presidente, il cardinale Robert Sarah non è stato rimpiazzato dopo la sua promozione alla carica di prefetto del Culto divino e della disciplina dei sacramenti), Giustizia e Pace, Migranti e Itineranti. All’obiezione, mons. Semeraro risponde che «la riforma ha bisogno dei suoi tempi perché si tratta di trovare un equilibrio», visto che «occorre rendere più snella la struttura, ma senza minimizzare i problemi».
Il pericolo, ammesso dal vescovo di Albano, è di far finire «tutto in un calderone dove i problemi sembrano indistinti». La garanzia data in quella riunione novembrina, a ogni modo, è che «il risultato finale non sarà la somma algebrica dell’esistente». Anche sull’altro grande polo, la Congregazione per i Laici e la Famiglia, ha fatto storcere il naso a più d’uno. Come riporta Famiglia Cristiana, «c’è chi vorrebbe una maggiore sottolineatura dell’unione uomo-donna, con la parola matrimonio esplicitamente citata nel polo laici-famiglia-vita». Qualche danno, spiegano Oltretevere, l’hanno fatto le parole del cardinale Maradiaga, che in una delle sue numerose interviste aveva anche dato quasi per certa l’istituzione di una Congregazione (o comunque un organismo) che mettesse insieme il Tribunale della Segnatura apostolica, il Pontificio consiglio per i Testi legislativi e perfino la Penitenzieria apostolica. Progetto lasciato cadere subito, visto che in parecchi avrebbero fatto notare come sia contrario a ogni logica giuridica: sarebbe come unificare il ministero per la Giustizia con la Cassazione. Un monstrum che non ha riscontri sul pianeta.
Molti paventano inoltre il rischio che dietro lo snellimento della governance si possa celarsi l’indebolimento della Curia romana a vantaggio delle Chiese particolari e che tutto, alla fine, si risolva in un’operazione burocratica. Non a caso, sulla questione è intervenuto il cardinale Gerhard Ludwig Müller, con un lungo articolo pubblicato sull’Osservatore Romano: «La Curia», ha spiegato il porporato tedesco, «non è una mera struttura amministrativa, ma essenzialmente un’istituzione spirituale radicata nella missione specifica della Chiesa di Roma, santificata dal martirio degli apostoli Pietro e Paolo». Ciò che deve guidare la riforma, dice Müller riprendendo le parole del Papa, deve essere la volontà di demondanizzare le strutture che dovrebbero aiutare il Pontefice nella sua missione: «La struttura organizzativa e il funzionamento della Curia dipendono dalla missione specifica del vescovo di Roma».
Quanto al pericolo di un’eccessiva devoluzione di poteri e competenze, il prefetto dell’ex Sant’Uffizio sottolinea che «la Chiesa universale non nasce come somma delle Chiese particolari, né le Chiese particolari sono mere succursali della Chiesa universale». La Chiesa «è il corpo di Cristo, è guidata e rappresentata dal collegio dei vescovi cum et sub Petro». E il legame del vescovo di Roma con la Chiesa di Roma «è indissolubile», scrive Müller. «Il Papa non esercita il primato se non insieme alla Chiesa romana». Quanto alle altre strutture, «il Sinodo dei vescovi, le Conferenze episcopali e le varie aggregazioni di Chiese particolari appartengono a una categoria teologica diversa dalla curia romana», sentenzia il prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede.