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IL CASO

Nozze religiose a “tasso zero”: ecco da dove ripartire

La crisi del matrimonio religioso, così come descritta dal Censis,  pone alcuni interrogativi sul modo di essere presenti nel mondo in cui viviamo. Se diminuiscono le nozze in chiesa, questo dovrebbe diventare motivo per riaffermare la stabilità matrimoniale come punto di partenza e non come punto di arrivo. 

Famiglia 09_07_2016
Che fare per arginare il calo dei matrimoni religiosi?

Proiettando «in avanti le tendenze degli ultimi vent’anni, lo scenario futuro è quello di un’Italia a matrimonio religioso zero»: così Massimiliano Valeri, direttore del Censis, citato qui ieri da Tommaso Scandroglio. Si tratta in effetti di una provocazione. Non si può certo credere che il direttore di un centro di ricerche così qualificato abbia davvero voluto dare così una data tanto certa all’eventuale scomparsa del matrimonio. E lo stesso dicasi per chi ne ha preso spunto per un suo commento sull’odierna indubbia crisi di tale istituto.

Nel campo delle scienze dell’uomo e della società, dalla psicologia alla demografia, dalla sociologia all’economia, nessun studioso serio, anzi nessuna persona seria in genere si permette di fare previsioni a così lungo termine. E quando qualcuno ha preteso di farle mai hanno trovato poi riscontro nella realtà dei fatti. Troppo grande è il numero dei fattori in gioco e troppo grande è la complessità delle loro interrelazioni. E soprattutto sfugge a qualsiasi definitiva analisi la libertà dell’uomo; e prima ancora sfugge quell’“imprevisto” che è il segno evidente dell’opera di Chi sta al centro del cosmo e della storia. Grazie alle scienze dell’uomo e della società oggi possiamo fare meglio di un tempo per così dire dei fotogrammi della situazione presente, il che è molto utile. Occorre, tuttavia, non dimenticare mai che di fotogrammi si tratta, e non del film.

In un’epoca come la nostra, soggetta come spesso ricordiamo a pressioni di tipo neo-autoritario, un certo uso dei frutti delle scienze dell’uomo e della società, insomma delle scienze sociali, ne è uno dei tipici strumenti. Una situazione cui il sistema massmediatico, pietra angolare dell’ordine costituito, si incarica poi di dare quotidiano sostegno. Non passa, infatti, giorno senza che da qualche parte qualcuno prenda spunto da un dato statistico appena pubblicato per ricavarne perentorie previsioni delle quali, per fortuna sua, all’epoca in cui avrebbero dovuto adempiersi nessuno più si ricorderà.

Se, infatti, vengono staccate dalle scienze umane fondamentali, dalla filosofia alla teologia, le scienze sociali si prestano molto bene a sancire come valore assoluto qualsiasi vera o presunta tendenza dominante e qualsiasi realtà consolidata del presente. Se oggi la schiavitù fosse ancora una realtà sociale consolidata come era nel mondo antico, la psicologia e la sociologia la giustificherebbero, mentre l’economia dipingerebbe il suo possibile venir meno come il detonatore di una crisi economica catastrofica. 

Tornando al matrimonio, possiamo oggi certamente dire che «ormai la crisi è globale, e riguarda sia i riti civili, che hanno smesso di crescere, sia in particolare quelli in chiesa, che sono in caduta libera». Così stanno le cose, e non tenerne conto sarebbe un’ingenuità. Ciò detto, si tratta poi di decidere se scegliere la via della rassegnazione, come l’ordine costituito ci suggerisce, oppure se prenderne spunto per essere presenti in modo più efficace nel mondo in cui viviamo. E, osserviamo qui per inciso, la stessa cosa vale per tanti altri aspetti di fondo dell’esperienza umana che sono in crisi nella fase di Medio Evo tra modernità e post-modernità in cui viviamo.

L’attuale crisi del matrimonio è segno non di un progresso bensì di un regresso umano che tutti quanti siamo chiamati a contrastare. Non perdiamo troppo tempo e troppe energie a lamentarci della situazione. É più urgente impegnarsi per riaffermarlo e riproporlo. In tale prospettiva, la prima cosa da fare non ha niente di specifico: si tratta da rieducarsi e di rieducare all’ascolto del senso religioso nonché di rieducare e rieducarsi alla verifica delle risposte che incontriamo alle grandi domande che esso pone. In ultima analisi, il timore del matrimonio è soltanto una delle sfaccettature di quella grande paura della stabilità, di quella grande paura della responsabilità verso gli altri e di quella grande paura del futuro che opprimono l’uomo “laico” di oggi; peraltro in questo non dissimile dall’uomo pagano di tutti i tempi. 

Poi ci sono motivi immediati di ordine economico-sociale, ma in realtà non sono affatto la causa primaria dell’attuale declino. Nel 1943 e nel 1944 in Italia si sposò molta più gente di quanta se ne è sposata l’anno scorso: e non sembra che allora le cose andassero meglio di adesso. In tale orizzonte, invece di consolarsi perché a un certo punto molte unioni di fatto finiscono di trasformarsi in matrimoni, la Chiesa dovrebbe a nostro avviso non temere di riaffermare la stabilità matrimoniale come punto di partenza e non come punto di arrivo; e non temere di insegnare già agli adolescenti che il sesso fuori del matrimonio è uno spreco di risorse umane. Non temere insomma di essere se stessa, e non la “crocerossina” di una modernità allo sfascio a causa della quale, fra le altre cose, l’Occidente rischia di non riuscire a reggere il confronto con il resto del mondo.