Nozze gay, le lobby non mollano
A Reggio Emilia un via libera a una coppia omosessuale che, a suon
di sentenze, marcia verso il pieno riconoscimento della propria unione.
E uno. Il secondo round del caso pilota volto a introdurre il matrimonio gay in Italia va ad una coppia che ha strappato dal giudice del tribunale di Reggio Emilia il via libera a continuare con maggiori speranze di riuscita la battaglia. La Bussola quotidiana ha seguito fin dagli esordi la causa perché è su questo esperimento, dopo ben due fallimenti, che le potenti lobby gay stanno cercando di introdurre nel nostro Paese il matrimonio tra omosessuali.
Il contorno è ben congegnato e strizza l'occhio al politicamente corretto e in assenza di una classe politica vigile rischia di passare come l'eureka finale dell'ideologia di genere.
Va da sè che ci sia anche una buona dose di romanticismo perché nulla deve essere lasciato al caso. Ad un giornale locale i due, Flavio, un vigile del fuoco reggiano, e Rafael, un uruguaiano conosciuto dall'italiano a Palma di Mallorca e sposato nell'estate del 2010, hanno detto che la sentenza del giudice Domenica Sabrina Tanasi è stato il più bel regalo di San Valentino che potessero ricevere.
Il magistrato infatti ha accolto proprio nel giorno dedicato agli innamorati il ricorso presentato dai due nell'ottobre 2011 e presentato dall’Avvocato Giulia Perin in cui i coniugi spagnoli si opponevano al provvedimento del questore di Reggio a cui Rafael si era rivolto per ottenere il permesso di soggiorno in quanto sposato con un membro Ue.
Il questore, appellandosi a due sentenze in merito della Corte Costituzionale rispose picche. Così i due, aiutati dalla forte pressione dell'associazione radicale “Certi diritti”, vero motore ideologico e giuridico dell'operazione, sono andati avanti e si sono presentati davanti al Tribunale. In sostanza: il giudice riconosce che il matrimonio non vale, ma il permesso di soggiorno sì. Perché?
Perché secondo la sentenza 1328/2011 della Corte di Cassazione «la nozione di coniuge, prevista dall’articolo 2 del decreto legislativo n° 30 del 2007, deve essere determinata alla luce dell’ordinamento straniero in cui il vincolo matrimoniale è stato contratto; lo straniero che abbia contratto in Spagna un matrimonio con un cittadino dell’Unione dello stesso sesso deve essere qualificato quale “familiare”, ai fini del diritto al soggiorno in Italia».
Dunque i due non sono sposati, ma sono familiari. Ma c'è di più: nel dispositivo si fa anche riferimento ad un'altra sentenza della suprema Corte, la numero 138/2010 nella quale si afferma che «all’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso» va riconosciuto «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia».
Va detto che il ricorso non era volto, e qui sta la strategia, a richiedere il riconoscimento in Italia dell'unione spagnola, facilmente cassabile, ma più astutamente a chiedere il diritto per i coniugi, sebbene non riconosciuti, ad avere una vita famigliare in Italia. Ottenuto questo, il passo verso il riconoscimento del matrimonio è breve.
Infatti nella strategia di “Certi diritti” e di lobby simili che operano in Europa sfruttando e forzando il meccanismo di recepimento delle normative europee negli stati nazionali, c'è a questo punto l'assalto finale: “chiedere al governo in carica di riconoscere queste unioni tra i cittadini italiani, come richiesto dalla Corte Costituzionale con la sentenza 138/2010”, come appunto dichiarato dall'associazione subito dopo aver annunciato ai media “il grande passo avanti per l’affermazione della non discriminazione delle coppie dello stesso sesso”, rappresentato dalla sentenza.
Ad oggi il sudamericano ha ottenuto un permesso di soggiorno in quanto familiare del coniuge e potrà quindi convivere con lui in Italia.
L'uruguaiano aveva fatto richiesta per un passaporto, richiamandosi a un preciso decreto legislativo (il n° 30 del 2007), che garantisce il diritto di libero soggiorno ai cittadini dell’Unione europea e ai loro familiari.
Sfruttando infatti il trattato di Shenghen e di Lisbona dunque, le lobby gay stanno cercando di introdurre le nozze omosex nei Paesi dove queste ancora non sono riconosciute e i casi pionieristici di Paesi come la Spagna ad esempio, si rivelano non solo come apripista, ma sono stati funzionali per “contagiare” dal punto di vista giuridico gli Stati cugini europei, vincolati sempre più dalle normative Ue.
La Repubblica dei giudici passa la palla alla Repubblica dei tecnici. Adesso infatti la partita, pronunciatosi il giudice, è tutta in mano al governo, con la politica vera a fare da convitato di pietra.
Intanto ci si arrangia come si può. I deputati Pdl Tommaso Foti e Agostino Ghiglia hanno presentato un'interrogazione al ministro per la giustizia Severino e al ministro dell'interno Cancellieri, per chiedere dettagli sul ricorso accolto. I parlamentari chiedono di «sapere quale norma consente il ricongiungimento familiare tra persone coniugate dello stesso sesso», e «nel caso nessuna norma di legge permetta di giungere alle conclusioni del magistrato in questione», di sapere quali iniziative si vogliano prendere.
Basterà? Ma soprattutto: che farà il governo del professore, il cui responsabile welfare e pari opportuni Elsa Fornero in poche settimane si è già distinta due volte come attivista entusiasta per la promozione dei diritti gay?