OMOSESSUALISMO
Nozze gay, la Ue ci riprova
L'Europarlamento invita gli Stati membri a riconoscere come famiglia ogni tipo di unione. Una risoluzione non vincolante, ma la pressione politica esercitata è forte.
Attualità
15_03_2012
Il 13 marzo scorso il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione “Sulla parità tra donne e uomini nell'Unione europea” (2011/2244 INI). Si tratta di una summa ideologica di posizioni avverse ai principi non negoziabili: si va dall'art. 7 sulla famiglia omosessuale, all'art. 35 e 69 sull'ideologia di genere, all'art. 47 sull'aborto e contraccezione, all’art. 57 sulla sovrappopolazione. Un posto d onore lo merita l'art. 67 forse per la sua novità: la famiglia ora è anche mononucleare, cioè composta di un solo individuo.
Dato che la carne sul fuoco del Parlamento europeo è molta, concentriamo la nostra attenzione sull’art. 7 in cui il Parlamento “si rammarica dell'adozione da parte di alcuni Stati membri di definizioni restrittive di ‘famiglia’ con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli”.
Questa indicazione appare come un suggerimento rivolto agli stati che non si sono ancora dotati di norme legittimanti il matrimonio omosessuale ad affrettarsi a varare leggi che equiparino al matrimonio eterosessuale quello omosessuale. va precisato che di loro le risoluzioni dell'Europarlamento non sono vincolanti – non possono obbligare gli stati a fare nulla che non vogliono fare – però sicuramente hanno un elevato potere di indirizzo politico.
Il Parlamento europeo non è nuovo ad uscite di questo tipo. Quello che è nuovo è il fatto che ogni volta alza di più il tiro. C’è uno specie di climax ideologico nell’intenzione di distruggere la famiglia fondata sul matrimonio inteso come istituto di diritto naturale.
In una Risoluzione del 1994 il Parlamento invita la Commissione europea a rimuovere “gli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero ad un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni”.
Nel 2000 l’invito, sempre tramite Risoluzione, è rivolto direttamente agli stati che appartengono all’Unione Europea e l’amicale consiglio riguarda non l’istituto del matrimonio bensì il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Il Parlamento sprona gli stati verso l’ “equiparazione dei diritti delle coppie omosessuali e a tal fine invita quegli Stati membri che ancora non prevedono tale riconoscimento, a modificare le proprie legislazioni”.
Insisti e poi insisti qualcosa si muove: nel 2001 i Paesi Bassi per primi istituiscono il “matrimonio” omosessuale. Il Parlamento europeo non si lascia sfuggire l’occasione e nel 2002 promuove un’interrogazione parlamentare rivolta alla Commissione europea, interrogazione che pone il seguente quesito: perché non estendere questa disciplina all’intera Europa? Risposta della Commissione: ora è troppo presto dato che l’istituto familiare si evolve seguendo il percepito sociale dei consociati. In Europa attualmente il sentito comune è differente tra stato e stato e quindi è giusto parallelamente che ci siano differenti discipline giuridiche nazionali a riguardo.
Passa qualche anno e il Parlamento torna all’attacco: con la Direttiva del 2004 n. 38 sulla libera circolazione dei cittadini UE all’interno dell’Europa propone alla Commissione europea di attribuire la qualifica di “familiare” anche al partner che convive o è “sposato” con persona dello stesso sesso. Non farlo sarebbe discriminatorio. La Commissione anche questa volta non ci sta e rigetta la proposta per due ordini di motivi. In prima battuta fa notare che, trattandosi di materia attinente alla libera circolazione tra stati membri, la coppia omosessuale o il singolo partner che si reca in un paese in cui non è riconosciuto il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso non si deve sentire discriminato perché in quel paese verrà trattato alla stregua di tutti gli altri cittadini. In secondo luogo – ed è l’aspetto più importante – la Commissione ricorda che su queste materie prevale il principio dell’ “hoste state oriented”. In buona sostanza resiste il principio di sovranità nazionale su questi temi e quindi su di essi c’è una competenza esclusiva dello stato a legiferare: l’Europa non ci può mettere becco.
Detto ciò possiamo però notare che questi plurimi interventi del Parlamento europeo in tema di diritto di famiglia seppur non abbiano efficacia giuridica, però conservano un’efficacia politica nell’orientare le future decisioni autonome dei singoli paesi, provocando così una lenta corrosione degli assetti normativi. Non obbligano, ma influenzano assai.
Le pressioni poi non vengono solo dal Parlamento ma anche da lobby, da Ong, da altri paesi e dalle magistrature.
In merito alle nazioni straniere viene da ricordare l’art. 5 proprio della Risoluzione approvata due giorni fa. In questo articolo si suggerisce agli stati che hanno una legislazione che già disciplina convivenze e “matrimoni” omosessuali di armonizzare tra loro le diverse normative nazionali. Questo senza dubbio creerà uno specie di blocco di stati “moderni” che farà pressione su quelli fermi al giurassico in tema di libertà civili.
In relazione invece al ruolo dei giudici in queste vicende è utile ricordare la sentenza della Corte di Giustiizia Regno di Svezia c. Consiglio (sentenza D, 31 maggio 2001) in cui da una parte si invita il legislatore comunitario ad equiparare al matrimonio eterosessuale non il “matrimonio” omosessuale ma addirittura le sole convivenze tra persone dello stesso sesso. Dall’altra rivolge un severo monito agli stati affinchè al più presto riconoscano le unioni omosessuali.
Ma la pressione giurisprudenziale non è solo made in Europe bensì proviene non di rado anche dall’interno. Il riferimento, tra i molti, è al recente provvedimento del Tribunale di Reggio Emilia che ha concesso la residenza ad un uruguaiano “sposato” ad un italiano a Palma di Mallorca (rimandiamo all’articolo di Andrea Zambrano pubblicato sulla Bussola Quotidiana il 22 febbraio scorso). Il giudice non ha riconosciuto il matrimonio tra i due ma lo status di “familiare” all’uruguaiano. E già si è sentito il chiacchiericcio di qualcuno che chiede al Parlamento di colmare questa lacuna legislativa introducendo il “matrimonio” omosex.
Ora è evidente che il legislatore nazionale si trova sotto il tiro incrociato di più cecchini: l’Unione Europea, i giudici nazionali e internazionali, i media, i centri di potere politico. Nessuno di questi ha l’autorità per imporre al legislatore di introdurre le nozze gay, però il loro potere di persuasione è indiscusso. Qualcuno obietterà che l’Europa e gli altri sostenitori dell’ideologia gender consigliano solo, ma - come insegnano alcuni illustri mafiosi - certi consigli non si possono rifiutare.