Novaziano, gli scismi finiscono sempre male
Sacerdote romano, noto per la sua ortodossia e fedeltà alla tradizione, Novaziano provocò una grave crisi nella Chiesa del III secolo con la sua reazione alla crisi dei lapsi. Ammissione di quest'ultimi alla penitenza e battesimo degli eretici i pomi della discordia.
Novaziano. Abbiamo accennato qualcosa su di lui nel precedente articolo, ma è opportuno tornare su questo importante personaggio della storia della Chiesa. Ricordo una frase, ascoltata tanti anni fa da un sacerdote: se il demonio fosse brutto, nero, con le corna, la coda appuntita e il forcone, non avrebbe così tanto seguito. Un modo simpatico per ricordare ad una troppo semplicistica rappresentazione popolare, quanto il demonio si presenti a noi come angelo di luce, tutt’altro che spaventoso e ripugnante.
Qualcosa di analogo vale per i frutti dell’azione demoniaca nella Chiesa, ossia le eresie e gli scismi. E la crisi provocata da Novaziano ne è un esempio eminente. Questo sacerdote romano, forse di origine frigia, era stato un grande punto di riferimento per la Chiesa di Roma, soprattutto durante i quattordici mesi di vacanza della Sede apostolica, intercorsi tra la morte di papa san Fabiano (+250), martirizzato durante la persecuzione dell’imperatore Decio (201-251), e l’elezione di San Cornelio (+253).
La sua singolare intelligenza e la sua rinomata eloquenza fecero sì che eminenti personaggi considerassero il suo insegnamento come particolarmente degno di essere preso in considerazione. Rispondendo a papa Damaso (305ca-384) che gli chiedeva un parere su alcune questioni difficili, San Girolamo (347-420) non esitava a rimandarlo agli scritti di Tertulliano e Novaziano, «uomini di nota competenza» (Lettera 36, 1). Persino il suo diretto avversario, papa Cornelio (180 ca-253), in una lettera riportata da Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica, VI, 43, 8), piena di giudizi negativi sulla persona di Novaziano, che gli storici hanno suggerito di “prendere con le pinze”, perché troppo contrastanti rispetto alla descrizione che ne offre san Cipriano, dovette ammettere che Novaziano era «maestro di dottrina» e «paladino della scienza ecclesiastica». La sua scienza e la sua condotta fecero sì che il clero romano lo scegliesse come proprio portavoce e principale candidato alla successione di papa Fabiano (+250).
Novaziano appariva come un sacerdote pienamente ortodosso, difensore della retta fede trinitaria, incline alla solitudine e alla preghiera; prima dello scisma, iniziato nel 251, egli stesso non era opposto alla posizione di san Cipriano relativa all’ammissione dei lapsi alla penitenza pubblica. Con l’elezione di Cornelio, mutò quest’ultima posizione, trovando consenso tra molti che durante la persecuzione di Decio avevano testimoniato eroicamente la fede, ma anche gli oppositori di Cipriano che sostenevano una posizione lassista. Riuscì a coinvolgere nello scisma persino il vescovo di Antiochia, Fabio, e il vescovo di Arles, Marciano. Lo zelo di Novaziano e di quanti avevano aderito allo scisma riuscì a guadagnare molti alla propria causa, sia in Oriente che in Occidente; le Gallie, la Spagna, l’Italia settentrionale, Roma, l’Africa, l’Egitto, la Siria, Costantinopoli e soprattutto l’Asia minore: ovunque si vedevano sorgere comunità novazianiste, con i loro sacerdoti e vescovi.
Il novazianismo, lungi dall’estinguersi, si diffuse praticamente in tutto l’orbe conosciuto e durò diversi secoli, contrariamente a quanto immaginato da papa Cornelio, il quale, scrivendo a Fabio d’Antiochia, lo aveva esortato a rientrare nella Chiesa cattolica, perché lo scisma novazianista si sarebbe presto estinto. Il Papa non fu affatto profeta. La chiesa novazianista guadagnò invece sempre più terreno: il suo rigore, la sua apparente fedeltà alla più antica tradizione penitenziale della Chiesa, il sincero desiderio di riscattarne la credibilità dopo la defezione dei lapsi, la presenza, nelle proprie fila, di molti che durante la persecuzione avevano resistito, erano elementi più che sufficienti per attrarre molti.
Nel frattempo, Novaziano consacrava i “propri”vescovi. In Oriente, ci fu una fusione con le già esistenti comunità montaniste; a Cartagine, i novazianisti si radunavano per l’Eucaristia dirimpetto al luogo dove presiedeva il vescovo Cipriano: tra i primi e i secondi non era possibile scorgere sostanziali differenze. Novaziano continuava ad essere a capo alla comunità scismatica di Roma, dimostrando peraltro fermezza durante la persecuzione di Gallo e di Valeriano; fedeltà che comportò per lui l’esilio e, secondo lo storico Socrate, anche il “martirio”. Così come subirono più tardi la persecuzione da parte degli imperatori filo-ariani, i novazianisti, i quali, insieme ai cattolici, avevano rifiutato le posizioni eretiche.
Proprio in virtù della loro fedeltà alla dottrina cristologica, i padri del Concilio di Nicea avevano aperto ai novazianisti una possibilità di ritornare nell’unità della Chiesa cattolica, prestando particolare riguardo a garantire ai chierici di poter continuare a permanere nello stato clericale; la condizione fondamentale era però l’accettazione della prassi penitenziale della Chiesa cattolica. Il tentativo di risoluzione dello scisma non ebbe successo, mostrando quella che sarà una costante nella storia della Chiesa: gli scismi non si sono mai risolti positivamente. Si sono estinti, oppure gruppi, anche consistenti, hanno abbandonato lo scisma per rientrare nella Chiesa cattolica; ma la risoluzione integrale della divisione è quanto di più difficile da realizzare.
Situazione complicata, dunque, resa ancora più intricata dalla questione del battesimo degli eretici. Da una parte avevamo gli scismatici che avevano difeso la dottrina trinitaria e cristologica e che avevano affrontato eroicamente la persecuzione, non meno dei cattolici. Sul versante cattolico, proprio il grande difensore dell’unità della Chiesa e della disciplina penitenziale, san Cipriano, doveva assumere una posizione fuorviante. È noto, infatti, il suo errore circa la necessità di ribattezzare quanti erano stati battezzati dagli eretici.
A Cipriano il problema si presentò con una certa insistenza proprio con il ritorno dei novazianisti pentiti, che avevano ricevuto il battesimo nella chiesa scismatica. Nel 255, rispondendo alla richiesta di chiarimento del vescovo Magno, Cipriano rifiutò di ammettere la validità del battesimo conferito dai novazianisti e dagli eretici in generale, in quanto costoro non confessavano lo stesso Dio e lo stesso Cristo dei cattolici, a causa dei loro errori sulla SS. Trinità e sulle due nature di Gesù Cristo. Cipriano si trovava così a sostenere la stessa posizione di Novaziano sul battesimo.
Ben due concili, riuniti a Cartagine nel 256, a pochi mesi l’uno dall’altro, sostennero la posizione di Cipriano, ignorando gli ammonimenti di papa Stefano (+257) e portando la Chiesa d’Africa vicina ad un pericoloso scisma, proprio per mano di colui che aveva sostenuto papa Cornelio e aveva combattuto energicamente Novaziano. A ben vedere, quella di Cipriano poteva essere considerata come una disobbedienza su un punto disciplinare ben preciso (e Cipriano aveva torto); ma fu il Papa ad avvisare lui e gli altri vescovi che la mancata conformazione all’uso della Chiesa di Roma di non ribattezzare gli eretici, ma di imporre solamente loro le mani, come segno di riconciliazione, sarebbe stato considerato come un atto scismatico. Il rischio di una nuova lacerazione era vicino.
Un bel garbuglio, nel quale era difficile districarsi e dal quale non si sapeva bene come venirne fuori. Vi mise mano la Provvidenza: il 2 agosto 257, papa Stefano venne ucciso dai pretoriani, mentre stava celebrando il Santo Sacrificio, sotto la persecuzione di Valeriano (200ca-260). Pochi giorni dopo, Cipriano veniva condotto di fronte al proconsole Paterno, per confessare la sua fede. L’anno successivo subì il martirio.