Non solo Brexit, euroscetticismo in crescita ovunque
Cresce ovunque l'euroscetticismo, non solo in Gran Bretagna. A due settimane dal referendum sulla Brexit, il Pew Research Center rileva un calo di entusiasmo nel progetto europeo in tutti i paesi membri. Meno in Polonia e Ungheria, dove resiste una forte identità nazionale. Dati che fanno riflettere.
Si avvicina un’altra data importante per l’Europa: è il 23 giugno, il giorno in cui la Gran Bretagna voterà per restare dentro o fuori l’Ue. I sondaggi danno i due schieramenti testa a testa. La Brexit non è fantascienza, ma un’ipotesi concreta. E alla vigilia del voto, l’istituto del Pew Research Center ha provato a sondare la popolarità dell’Europa unita, non solo nel Regno Unito, ma anche negli altri paesi membri, compreso il nostro. Alcuni risultati sono letteralmente sconcertanti.
Prima di tutto, apprendiamo dall’istituto statunitense che solo poco più della metà degli italiani ha un concetto positivo dell’Ue: il 58%. E’ ancora una percentuale alta, ma si tratta di un drastico calo, 20 punti percentuali in meno, rispetto al 78% di euro-entusiasti di appena dieci anni fa. L’Ungheria e la Polonia hanno eletto a pieni voti partiti conservatori, attenti alla difesa della propria identità nazionale e tendenzialmente euroscettici: rispettivamente Fidesz e il PiS. Tuttavia è proprio in questi due paesi che si riscontra il maggior entusiasmo per l’appartenenza all’Ue: il 72% in Polonia e il 61% in Ungheria. In compenso, nella Francia che ospita la sede del parlamento europeo (Strasburgo), i consensi sono appena al 38%, mentre il 61% dei francesi ha un’opinione negativa dell’Ue. Grecia da record: 71% di euroscettici e appena 27% dei cittadini hanno un’idea positiva dell’Europa unita. In Gran Bretagna decideranno le urne, appunto. Ma stando a questo sondaggio, una leggera maggioranza del 48% è euroscettica, contro il 44% di euro-entusiasti. In prospettiva, negli ultimi dieci anni, in tutti i paesi presi in considerazione dal Pew Research Center, il consenso per il progetto di integrazione europea è ovunque in calo, più o meno rapidamente, con più o meno variazioni nel corso del tempo. Il crollo più rapido si registra in Francia, dove si è passati da un 69% di favorevoli nel 2006, all’attuale 38% e in Spagna dove si passa da un quasi unanimismo pro-europeo (80% di favorevoli) nel 2006 a un euroscetticismo di maggioranza (al 49% contro un 47% di pro-Ue).
Un sondaggio non è la realtà, semmai una sua approssimazione. E l’oggetto dell’indagine è limitato, sia nel tempo (10 anni) che nello spazio (10 paesi membri). Ma già si possono trarre alcune lezioni interessanti. La conclusione più evidente e anche apparentemente più banale è che si registra un maggior entusiasmo per l’Ue laddove c’è meno crisi, più euroscetticismo dove la crisi morde di più. I paesi che vivono periodi di stabilità o crescita economica, come la Polonia e l’Ungheria, vivono più serenamente l’appartenenza all’Ue. E di sicuro rappresenta per loro un passo avanti enorme rispetto al recente passato comunista. L’euroscetticismo è in crescita rapida e diventa maggioritario, dove la crisi morde di più: Grecia, Francia, Italia e Spagna. Non è un dato banale: evidentemente nessuno vede l’Ue come una possibile soluzione ai problemi economici nazionali, né come un fattore di rallentamento della crisi. Evidentemente l’Unione è vista come la causa e non la soluzione del malessere. E questa è già una sonora sconfitta per Bruxelles, giusta o sbagliata che sia questa impressione.
La seconda osservazione, solo apparentemente paradossale, è il consenso stabile per l’Ue di paesi come Polonia e Ungheria, due popoli che hanno eletto governi nazionali molto orgogliosi della propria identità e tuttora contrari all'adozione dell'euro. La percezione positiva è dunque data anche dal fatto che Bruxelles non ha sottratto la sovranità a Varsavia e Budapest, se non in minima parte. Fa riflettere, invece, che in paesi in cui è stata più forte la spinta politica per l'integrazione, come l’Italia e la Spagna, l’euroscetticismo sia ora diventato fortissimo, dopo essere stato quasi inesistente fino a pochi anni fa.
Inevitabilmente viene da pensare alle radici cristiane d’Europa, che mancano nel preambolo dei trattati fondamentali e anche in quella sorta di surrogato di “costituzione” che è il Trattato di Lisbona. Non è un pensiero ossessivo, il nostro. E’ una mera constatazione. Se l’Europa è ancora ben accetta laddove esiste un’identità nazionale forte, piace solo dove si sta meglio e non piace dove si sta peggio, vuol dire che è sostanzialmente un guscio vuoto. Manca, insomma, quella identità europea a cui appellarsi nella buona e nella cattiva sorte. Non ci si sente europei, perché non si capisce bene che cosa sia l’Europa unita, a cosa miri, su quali principi si possa fondare. Togliendo le radici cristiane, nel nome di un’impalpabile cultura laica, hanno tolto l’anima al progetto europeo.