Non solo armi, serve una nuova politica
Le polemiche già in atto in Francia e Belgio dopo le stragi dei terroristi islamici sull’efficienza dei servizi segreti inducono a ritenere che anche in questo caso la politica cerchi un capro espiatorio per continuare a far finta di non vedere le dimensioni del problema islamico.
C’è qualcosa di stupefacente nel vedere Parigi e Bruxelles militarizzate, pattugliate da militari con i volti coperti per non farsi riconoscere dai loro connazionali musulmani che potrebbero scatenare rappresaglie e aggressioni contro di loro e le loro famiglie. Gli stessi visi coperti e lo stesso anonimato imposti per le medesime ragioni ai militari della Coalizione che operano in Iraq. Basterebbero queste notizie a dimostrarci che la guerra contro il terrorismo è anche e soprattutto una guerra contro l’estremismo islamico e questo conflitto si combatte non solo in Siria o Iraq, ma tra le nostre case, nelle piazze e nei quartieri delle nostre città.
Sempre che lo si voglia davvero combattere nei fatti e non solo a chiacchiere. La guerre che Francois Hollande ha annunciato «senza pietà» contro lo Stato Islamico diventerà presto una barzelletta se si limiterà a sganciare qualche bomba in più su Raqqa senza prevedere l’invasione del Califfato e ampie misure contro i jihadisti presenti in Francia. Forse i 129 morti e oltre 400 feriti della “strage di venerdì 13” resteranno impressi più a lungo nella memoria collettiva rispetto ai morti degli altri attentati che hanno sconvolto l’Europa, da Madrid nel 2004 a Londra l’anno successivo fino all’attacco del dicembre scorso alla redazione di Charlie Hebdo. Attentati che avevano già dimostrato come il terrorismo islamico sia solo il frutto di quella pianta ben più radicata e da sempre tollerata in Europa che è l’estremismo islamico.
Le polemiche già in atto in Francia e Belgio sull’efficienza dei servizi segreti inducono a ritenere che anche in questo caso la politica cerchi un capro espiatorio per continuare a far finta di non vedere le dimensioni del problema islamico. Inutile mobilitare forze d’assalto, corpi speciali di polizia e persino l’esercito per dare la caccia al commando terrorista islamico di turno se non si estirpa il contesto in cui giovani musulmani vengono educati al jihad attraverso un processo di formazione ideologica che ha solo come ultimo passaggio l’addestramento a combattere e a uccidere in Siria, Iraq, Yemen Afghanistan. In Germania ci sono almeno 400 veterani del jihad siriano e 43 mila estremisti islamici. Per lo più salafiti, secondo i servizi di sicurezza di Berlino. In Francia e Gran Bretagna la situazione è ancora più grave ed è evidente che nessun apparato di sicurezza disporrà mai delle risorse per poter controllare 24 ore al giorno un numero così alto di persone.
A inizio novembre un rapporto dei servizi segreti francesi aveva previsto l’attacco di “cellule trasversali”, cioè jihadisti provenienti da Paesi circostanti. É però difficile riuscire a prevenire queste azioni sia perché i servizi di sicurezza dei Paesi europei cooperano tra loro, ma non integrano le rispettive banche dati, sia perché questa volta sono state presi di mira ristoranti e locali pubblici, obiettivi che non sarà mai possibile proteggere capillarmente. Per questo le responsabilità di questa “guerra” non possono venire scaricate sui servizi di sicurezza, ma devono essere assunte dalla politica, colpevole in tutta Europa dell’atteggiamento di debole accondiscendenza nei confronti di un Islam intollerante e intollerabile.
Abbiamo accettato che in molte moschee e “centri culturali” vengano propagandate ideologie discriminatorie, jihadiste, terroristiche senza imporre leggi che obblighino gli imam a depositare i testi dei sermoni e a usare esclusivamente la lingua italiana. Leggi in vigore per esempio in Tunisia e Kuwait, Paesi musulmani. Ci sono imam in Europa che legittimano decapitazioni e terrorismo e li abbiamo lasciati liberi di farci la guerra spesso in quartieri in cui neppur la polizia entra, forse perché i nostri governanti temono di offendere la loro suscettibilità. In molti casi i jihadisti della porta accanto sono mantenuti dal nostro Stato sociale.
Accettiamo nelle nostre città la diffusa presenza di estremisti che giustificano terrorismo e violenza. Nel nome di un multiculturalismo che ha sulla coscienza fin troppe vittime (anche musulmane) abbiamo accettato di convivere con chi pratica la poligamia o l’infibulazione o con chi offre bambine in sposa. Invece di difendere la nostra società basata su libertà e diritti pretendendo di estenderli a chiunque venga a vivere in Europa, abbiamo accettato torbidi compromessi con un’ideologia che si chiama “sottomissione” (questo significa la parola islam).
Tollerando e favorendo tutto questo la classe politica europea ci ha fatto apparire deboli e quindi vulnerabili. I bersagli ideali per i terroristi, consapevoli che noi non effettueremo rappresaglie né, probabilmente, ci difenderemo. In Danimarca il governo negozia con gli imam delle moschee manifestamente filo Stato Islamico e ai reduci della guerra siriana offre un programma di “riabilitazione” che prevede persino l’università gratuita. Tolleriamo persino che convivano islamici che giustificano la strage di Parigi senza renderci conto che contro l’islamismo occorrono leggi certe e pene dure. Ha senso ammazzare i terroristi lasciando liberi gli ideologi che li istruiscono e li educano al jihad?
Difficile aspettarsi risposte concrete da politicanti pavidi e incapaci oppure troppo proni a quelle monarchie sunnite del Golfo che investono miliardi nelle nostre economie e finanziano tutti i movimenti più reazionari dell’Islam con fondi milionari elargiti alle moschee europee. Solo un paio di mesi or sono l’Arabia Saudita, che non accetta immigrati né profughi siriani, ha offerto a Francia e Germania di costruire 300 moschee per i migranti giunti in Europa. Certo è difficile credere che gli europei possano agire sul serio per la sicurezza e contro il terrorismo dopo che hanno dimostrato di non essere neppure capaci di difendere le frontiere da chi vuole valicarle illegalmente. Ciò nonostante una svolta radicale in Europa s’impone, che investa la politica estera, ma soprattutto le scelte di politica interna, sociale e di sicurezza. Una svolta che riveli che i 129 morti di Parigi non stati vani.