Non si sottomette all’islam. Lale Gül è sotto protezione
È stata spedita in una località segreta in attesa che chi la minaccia di morte la dimentichi. Lale Gül, 23 anni, nata in Olanda da genitori turchi, ha detto no al velo e a un matrimonio combinato. Nel suo libro, “Io vivrò”, e nelle interviste denuncia un sistema che non permette alle ragazze musulmane di integrarsi.
Lale Gül adesso è sotto protezione. Spedita in una località segreta in attesa che l’islam la dimentichi. Da queste colonne, a marzo, vi raccontavamo la storia di questa ventitreenne olandese nata in una famiglia turca e autrice del libro, Io vivrò, Ik ga leven, il racconto di una ragazza occidentale islamicamente sottomessa in casa e finita consegnata alla notorietà, ma anche alle minacce di morte. I membri della sua comunità turca la vogliono morta. Uno zio le ha promesso di strapparle i denti dalla bocca, il padre la ignora, la madre le ripete di non poter biasimare nessuno perché “l’hai voluto tu”.
La vita sotto protezione è iniziata da poco. Ha già ricevuto più di 70 minacce di morte. Ed è di questi giorni la notizia di due persone identificate e arrestate tra quanti avevano chiesto la sua testa. Appartengono al movimento chiamato “Sharia4Belgium”.
Lale Gül è nata da genitori turchi, cresciuta nella comunità turca olandese, ad Amsterdam Ovest, nel distretto di Kolenkitbuurt, dove per l’85% vivono immigrati. Già a 12 anni indossava il velo. Nel fine settimana le facevano frequentare la scuola coranica del movimento islamista Millî Görüs, fondato nel 1969 dall’ex primo ministro turco Necmettin Erbakan per controllare i turchi in Europa e che non ha fatto che crescere da allora. Nei Paesi Bassi conta circa 50 organizzazioni affiliate, ha iniziato nel 1993 “a penetrare nel tessuto sociale”, finanziando moschee. Dipende direttamente da Berlino: nasce come un ente per la diffusione dell’islam politico e tramite l’Akp ha oggi rapporti diretti con il governo di Ankara. Il movimento controlla in Europa 514 moschee, 313 sale di preghiere e diverse scuole coraniche per giovani e giovanissimi. Proprio in una di quelle Lale Gül era stata svezzata ad un islam che non può integrarsi in Olanda, ma non è andata come speravano i genitori.
Alla scuola “normale”, la Gül fa amicizia con gli olandesi e conosce l’idea occidentale di libertà. A 16 anni frequenta il suo primo fidanzatino in clandestinità, un “olandese bianco”. Lo tiene nascosto perché sarebbe stato il primo “trauma” per la sua famiglia islamica. A 18 decide di prendere le distanze dall’islam, toglie il velo e rifiuta il matrimonio combinato. La sua famiglia è stordita. Ma è solo l’inizio. “Voglio vivere”, è il libro che la tiene in cima alle classifiche dei Paesi Bassi per alcune settimane. È il punto di rottura che la consegna direttamente alla protezione della polizia. Dire che ha acceso il dibattito è riduttivo. Ha toccato il tasto dolente dell’integrazione. E da mesi tutto il Paese parla di lei. Qualcuno la vede come la nuova Ayaan Hirsi Ali.
L’islam turco non si integra nei Paesi Bassi. La sua famiglia è costernata, “come puoi farci questo?”. I suoi colleghi, vicini, membri della sua moschea e parenti in Turchia hanno iniziato a ‘molestare’ i suoi genitori, desiderosi di scoprire cosa fosse andato storto nell’istruzione della figlia. Geert Wilders, leader del Partito della Libertà (PVV), l’ha definita una “coraggiosa giovane donna turca”. Dopo le parole di Wilders, Lale è stata anche accusata di essere di “destra”: per questo s’è spogliata degli abiti islamici.
Tuttavia, oltre alle decine di minacce, canti di battaglia islamisti e foto di armi che ha ricevuto, Lale Gül sta contando anche su migliaia di email incoraggianti. Ragazze islamiche come lei, che vengono costrette dalle famiglie a non integrarsi nei Paesi europei e per questo vivono la difficoltà, spesso l’incubo, di una convivenza che si trasforma in casi come quello di Saman, in Italia, o appunto come quello di Lale in Olanda.
Il suo libro è la storia di un dramma familiare e di una comunità che la vorrebbe morta perché non “osservante”. Quando le è stato chiesto perché ha scritto questo libro, ha raccontato dei suoi amici non musulmani che continuavano a farle domande. Continuavano a chiederle perché non frequentasse le feste o la spiaggia, perché indossasse il velo (quando lo portava ancora). Così a un certo punto ha pensato tra sé e sé: “Dato che devo continuare a spiegare le cose, forse dovrei scriverci un libro in modo che tutti capiscano”.
E così accade che in Olanda, la patria per antonomasia della libertà incontrollata e incondizionata, una ragazza di ventitré anni finisca sotto protezione perché si ribella all’islam e la sua comunità di immigrati turchi le dia la caccia. E accade che in Francia una diciassettenne atea finisca costretta nel medesimo destino, e tema addirittura di non sopravvivere altri cinque anni, perché ha offeso un musulmano e Allah su Instagram. E da allora nessun liceo si vuole assumere la responsabilità di averla come studentessa.
Lale Gül nel suo libro racconta la storia delle donne musulmane nei Paesi Bassi, spiegando che “è una storia largamente trascurata fino ad ora. Siamo in tante, ma siamo assenti dalla letteratura. E il posto delle donne nell’islam è lungi dall’essere affrontato. Se fai un qualche tipo di riferimento, vieni immediatamente etichettato come di destra. Molte donne sono convinte che alle musulmane piaccia indossare il velo e che sia addirittura una sorta di femminismo. Se lo metti in dubbio, ti ritrovi rapidamente accusato di razzismo. Ma questo è assolutamente fuori mira”, assicura Lale Gül.
Sempre Lale, in un’intervista alla stampa olandese, ha raccontato: “Sono molto chiara su questo, parlo dei miei genitori che non sono andati a scuola. Vengo da una famiglia rigida e ho frequentato le scuole della Millî Görüs. Non sono un’eccezione. Quello che sto descrivendo è qualcosa di comune a tutte le ragazze musulmane che ho incontrato nella mia vita”.
La storia della Gül assomiglia a quella della giornalista turco-olandese Ebru Umar, che aveva ereditato la rubrica dell’amico Theo van Gogh sul quotidiano Metro. Nel suo primo pezzo, la Umar scrisse che l’“intimidazione invisibile della mafia della censura funziona bene: il 68% degli olandesi non dice più pubblicamente cosa pensa. Nei Paesi Bassi non c’è più libertà d’espressione”. Seguirono altri riferimenti all’islam e poi Umar venne aggredita sotto casa. Tre anni fa la stessa giornalista è finita in carcere in Turchia dopo alcuni tweet contro l’aspirante sultano Erdoğan.
Lale un po’ se l’è cercata, dicono. Non è previsto inginocchiarsi in Parlamento o sui campi di calcio per una “islamofoba”…