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CARDINAL MEISNER

«Non si può fare mercato del matrimonio cristiano»

«Il matrimonio, diceva Lutero, è una cosa del mondo, come comprare e vendere a un mercato. Per questo motivo sembra che la Chiesa in materia di matrimonio e famiglia appartenga al passato».  Il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo emerito di Colonia, è uno degli undici cardinali che hanno contribuito al libro “Matrimonio e famiglia”. Alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, risponde alle nostre domande. 

BAGNASCO: ATTACCO ALLA FAMIGLIA, ECCO LE CONTROMISURE

Ecclesia 02_10_2015
Il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo emerito di Colonia

Quando nel 2014 lasciò il suo mandato attivo nella diocesi di Colonia, il Die Tagespost scrisse che «la mancanza di un tipo come Meisner si sentirà» nell'episcopato tedesco. Il cardinale Joachim Meisner, oggi arcivescovo emerito di Colonia, è nato il giorno di Natale del 1933 in pieno nazismo, e poi divenne uomo (e sacerdote) nel bel mezzo della Ddr, in pieno comunismo. Chissà, forse sarà per questa sua storia personale che una volta disse: il cristianesimo «prima di essere una istituzione è una spedizione».  A Colonia, nel 1988, lo volle fortissimamente Giovanni Paolo II, che con lui condivideva una storia molto simile. Per il suo parlar chiaro lo hanno spesso etichettato con facilità, sopratutto in Germania. Anche lui è uno degli undici cardinali che hanno contribuito al libro Matrimonio e famiglia (Ed. Cantagalli).

Eminenza, la Chiesa tedesca sembra particolarmente interessata a risolvere alcuni problemi che si ritengono legati alla prassi ecclesiale, come ad esempio l'accesso all'eucaristia ai divorziati risposati. Una via per la nuova evangelizzazione?

«La possibilità di permettere l'accesso alla comunione per i cosiddetti divorziati risposati nella prassi pastorale richiede che si ponga prima di tutto la domanda circa la santità dell'Eucarestia. In teoria per affrontare questo problema, occorrerebbe procedere con un'approfondita istruzione sull'essenza dell'Eucarestia. In Germania abbiamo un “consumo eucaristico” senza precedenti e tuttavia non riusciamo quasi a vedere nella vita dei fedeli i frutti. L'Eucarestia è decaduta diventando un semplice rito di appartenenza. Non è più compresa come l'incontro con il Figlio del Dio vivente, che ha lasciato se stesso a noi nella Santa Eucarestia. Perciò in Germania il sacramento della Penitenza è quasi completamente sparito, e questa è la conseguenza della perdita della comprensione di che cosa sia l'Eucarestia. Chi è ripieno del mistero dell'Eucarestia sa da sé che la Comunione eucaristica presuppone l'unione indissolubile del matrimonio. L'apostolo Paolo afferma in riferimento al matrimonio: “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef.5,32)». 

A proposito di matrimonio e famiglia: è la Chiesa a essere in ritardo, oppure è il cuore dell'uomo a essere confuso?

«Si potrebbe contrassegnare il modo in cui matrimonio e famiglia sono vissuti in Germania con un espressione attribuita a Martin Lutero: “Il matrimonio è una cosa del mondo, come comprare e vendere ad un mercato”. Questa convinzione viene proposta senza interruzione agli uomini da parte dei media. Per questo motivo sembra che la Chiesa in materia di matrimonio e famiglia appartenga al passato. Quando gli uomini vedono e sentono la concezione che la Chiesa ha del matrimonio e della famiglia, grandi sono la confusione, ma anche la meraviglia. Molti sposi si sentono sostenuti e grati nella loro esperienza di vita, che si regola secondo il diritto naturale e perciò anche secondo l'insegnamento della Chiesa». 

Il drastico calo di matrimoni religiosi, insieme al crescente numero di divorzi è un problema serio. Nel suo contributo al libro degli undici cardinali Lei propone di lanciare una sfida educativa. In che modo?

«In Germania abbiamo un detto: “Ciò che non so, non mi scalda” (NdA, corrisponde al detto italiano: “Occhio non vede, cuore non duole”). La maggior parte dei tedeschi non è a conoscenza della dignità e della santità del matrimonio e della famiglia; per questo non riesce a stimare il valore che essi hanno per la propria vita, cosicché si finisce sempre con delle catastrofi umane. Una strada essenziale per la guarigione è la “formazione”. Cito ancora il detto: “Ciò che non so, non mi scalda”, che significa: “Di ciò che non conosco non mi posso nemmeno appassionare”. Una presa di coscienza della realtà sacramentale di matrimonio e famiglia è un imperativo dell'ora presente. Dobbiamo mettere in moto tutte le forze della Chiesa per questo importante servizio. Penso anzitutto agli sposi stessi che danno testimonianza della loro realtà vissuta in pubblico, nei media, con la parola e con gli scritti. Per questo i media sono da coinvolgere ampiamente. Ma già a partire dai bambini presenti nelle scuole cattoliche bisogna porre attenzione alla struttura famigliare cristiana, insegnandogli il rispetto nei confronti dei genitori e dei fratelli. Inoltre è necessario che nelle diocesi siano presenti corsi di preparazione al matrimonio estesi, di almeno un anno. Accanto a questi si dovrebbero istituire dei consultori che aiutino gli sposi e le famiglie nei momenti di crisi e di difficoltà. Inoltre la Chiesa nella sua predicazione, dentro e fuori la liturgia, dovrebbe mettere a tema il matrimonio e la famiglia come fonte per la Chiesa e per il mondo. In questo campo esistono tante possibilità quanti sono gli uomini. Che lo Spirito Santo possa stimolare la nostra fantasia, affinché non priviamo gli uomini degli alti valori del matrimonio e della famiglia».

Eminenza, lei indica le encicliche Humanae Vitae del Beato Paolo VI e Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II come il tesoro a cui attingere per questa sfida educativa e di evangelizzazione. Queste due encicliche però, specialmente negli episcopati tedesco, belga e svizzero, non godono di grande fama. Si è consumato un tradimento pastorale?

«Le due encicliche Humanae vitae e Familiaris consortio fanno sicuramente parte dei due preziosi testamenti e delle testimonianze dei Papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, che però in Germania, Belgio e Svizzera sono sempre rimasti corpi estranei. Per tale motivo la Chiesa è rimasta in debito nei confronti dei fedeli dell'annuncio misericordioso e convincente dei due documenti papali. Per la Germania lo posso affermare chiaramente, soprattutto riguardo alla Humanae vitae, perchè l'allora vescovo di Berlino, il cardinale Bengsch, aveva formulato un'alternativa alla cosiddetta Dichiarazione di Königstein [NdA: Dichiarazione del 1968 da parte della Conferenza Episcopale Tedesca, con la quale si rimetteva alla coscienza di ciascuno l'uso dei metodi contraccettivi], alternativa che però non era stata presa nemmeno in considerazione dagli altri vescovi. Il cardinale Bengsch non poté partecipare personalmente alle riunioni dei vescovi tedeschi dell'allora Germania dell'Ovest in quanto cittadino della Ddr, ma solo tramite degli scritti. Io allora appartenevo in qualità di vescovo ausiliario di Erfurt alla Conferenza Episcopale di Berlino sotto la guida di Bengsch. Noi fummo tutti molto turbati, per il fatto che non si era presa in considerazione la sua proposta sulla Humanae vitae. Questo fatto dovrebbe essere occasione di un vero esame di coscienza, per venire incontro a un bisogno rimasto per troppo tempo insoddisfatto!».

Quali sono le sue proposte per ri-educare all'amore? Se così si può dire: come si può imparare ad amare?

«“Come si impara ad amare?” è una domanda essenziale perché con essa si rende felice l'uomo. Mi sembra che la prima risposta stia nel fatto di far comprendere all'uomo, che Dio ci ama ardentemente, al punto di donarci il suo unico Figlio come fratello, che sulla croce si è lasciato aprire le mani, le braccia e il cuore per essere vicino agli uomini. La Scrittura dice: “Dio ci ha amato per primo”. Questo deve diventare chiaro nell'annuncio. L'amore non è un dovere che ci è imposto, ma una risposta semplice ed un'eco del fatto che Dio ci ha amati. E siccome la gioia di Dio è stare con noi uomini, anche il comportamento degli uomini tra di loro e insieme dev'essere caratterizzato da questo amore. Imparare ad amare significa prima di tutto lasciarsi amare da Dio e dal prossimo; ma nello stesso tempo, io stesso devo diventare interprete dell'amore di Dio, incontrando il prossimo, come qualcuno che ama davvero, nelle parole e nelle opere. Come si ama ce lo mostra prima di tutto nostro Signore, e poi, sulle sue orme, i nostri tanti e grandi santi. L'amore c'è e opera, non è ostentato ma è nascosto. Occorre portarlo alla luce. Bisogna raccontarlo. E gli uomini ascoltano desiderosi, molto più volentieri dei racconti scandalistici che ci vengono presentati in continuazione dai media. L'unica proposta concreta che vorrei dare è quella di essere quotidianamente persone che amano».