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PAOLO IL CALDO

Non si può distribuire ciò che non si produce

Un punto debolissimo dell'enciclica sta nell'assunzione di teorie economiche, sociologiche e ambientaliste molto discutibili, fino al punto di riecheggiare i falsi allarmi del Club di Roma. Ma la sobrietà si deve afre per scelta etica, non per necessità strategica.

Paolo il caldo 19_06_2015
Paolo Togni

Che delusione! E che dolore profondo!

Mi aspettavo che l’Enciclica “Laudato sì” fosse un documento carico di fede, di ottimismo, di scienza e di conoscenza, col quale il Papa regnante facesse il punto sui problemi ambientali, attingendo dal Deposito della Fede, nel quale sono conservate molte pronunzie su tali problemi. Si tratta invece di una compilazione sbrodolata e piuttosto sciatta di rimasticature di una cattiva economia, di una cattiva sociologia, di un pessimo ambientalismo; oltretutto fondata su alcune premesse problematiche da condividere. 

Il documento è corposo (l’Enciclica più lunga mai pubblicata), quindi sono costretto a rinviare ad altra sede un’analisi non sommaria, per limitarmi qui ad esporre alcune considerazioni di carattere generalissimo, che si riferiscono soprattutto all’impostazione generale e ai principi ispiratori.

Innanzitutto l’antropocentrismo: credo possa ritenersi pacifico che della Creazione l’uomo è coronamento e completamento; oltre ad aver ricevuto in diretto affidamento dal Creatore il mondo materiale per coltivarlo e godere dei suoi frutti, ne è anche stato costituito custode. La primazia dell’uomo su tutti gli esseri creati trova in questo la sua giustificazione ed il suo fondamento: su questo è stato costruito l’antropocentrismo che è sempre stato alla base del pensiero giudaico-greco-romano-cattolico; alla tradizione del quale è assolutamente contraria qualunque ipotesi che ne disconosca la centralità. La chiave del rapporto tra l’uomo e gli altri esseri sta nella combinazione tra concetto di “custodia”, nel quale è compreso l’obbligo di mantenere con cura il bene; e il mandato a coltivarlo e godere dei suoi frutti.

Dalla combinazione tra obbligo di custodirlo e disposizione di goderne i frutti nasce la primazia dell’uomo sul resto del Creato, nei confronti del quale potrà usare i poteri assoluti ed incondizionati del proprietario, salvo l’obbligo al sostanziale mantenimento nelle migliori condizioni. L’uomo non può quindi essere collocato in posizione di parità con gli altri esseri: per sua natura egli ne è dominus e custode.

Nel testo si parla molto di miglioramento della condizioni di vita, specialmente dei meno fortunati, e dell’obbligo, che incombe a tutti, di distribuire i beni materiali con equità: questa giusta disposizione è però collocata in un contesto pauperistico che ne è la negazione. Cosa può essere distribuito che prima non venga prodotto? Lo stesso Signore Gesù, quando volle sfamare le moltitudini che l’avevano seguito, dovette prima moltiplicare il pane e i pesci che erano disponibili. Senza produrre non esiste possibilità di distribuire: le possibilità di miglioramento delle condizioni materiali sono misurate da una frazione, nella quale a numeratore vanno i beni disponibili (cioè prodotti), e al denominatore il numero degli abitanti della Terra. Dato che il denominatore non solo non va diminuito, ma se ne auspica l’aumento, l’unico modo per aumentare il valore del risultato finale consisterà nell’aumentare il numeratore più velocemente di quanto aumenti il denominatore.

Per la verità, è quello che sta avvenendo da molti decenni a questa parte; il valore della frazione è in forte, costante aumento. Mai come oggi una così alta percentuale dell’umanità ha vissuto senza soffrire la fame e la sete, godendo di una assistenza medica ragionevole, avendo una ragionevole quantità di energia a disposizione e la possibilità di comunicare con i suoi simili. Nonostante lo spettacolare aumento delle aspettative di vita e la forte diminuzione della mortalità infantile, il dato assoluto non è ancora soddisfacente, ma il percorso che l’umanità sta percorrendo è quello giusto, e porterà risultati di sempre maggiore equità, specialmente se verrà abbandonata la sciocchezza sentimentale di insistere sulla piccola proprietà contadina, che è un metodo di produzione che nega ogni possibilità di surplus produttivi, e in ultima analisi costituisce una potente causa di riduzione della produzione agricola mondiale. Di tutto questo nell’Enciclica non si fa parola, o se ne fanno sbagliate.

Anche sull’andamento dell’inquinamento le affermazioni che si fanno non sono esatte: si dà per scontato che l’inquinamento – dell’aria, dell’acqua, del suolo – sia in costante aumento, mentre piuttosto è vero che nei Paesi sviluppati i dati ne evidenziano una costante diminuzione, e che si sta superando la fase acuta oggi attraversata dai Paesi in via di sviluppo: tra qualche decina d’anni da tutto il mondo sarà scomparso l’inquinamento come fenomeno grave, almeno nelle forme che conosciamo oggi.

Nel testo è costante il richiamo alla sobrietà, motivato con la scarsità di materie prime, che viene considerata fatale e imminente. Si tratta di un vecchio discorso, già dimostratosi privo di validità: ricordate le previsioni del Club di Roma? Formulate alla metà del XX secolo, prevedevano che il petrolio si esaurisse prima del 2000: il 1992 era indicato come anno di inizio della crisi. Sappiamo tutti come sta andando: le riserve di idrocarburi oggi accertate sono maggiori di quelle conosciute allora, e garantiscono disponibilità rispetto agli usi attuali per almeno altri cinquant’anni, che significa tutto il periodo al quale si estendono le nostre capacità di previsione attuali; niente fa pensare ad un declino successivo. Sobrietà si, dunque, ma per scelta etica, non per necessità strategica.

Toccando le tematiche economiche, il Testo parla poi delle inique disparità di controllo della ricchezza oggi esistenti. Credo invece che oggi stiamo attraversando un momento in cui è fortemente diminuita rispetto al passato la distanza tra le condizioni di vita dei primi e quelle degli ultimi: credo del resto che dobbiamo essere tutti d’accordo nel considerare che, in presenza della dovuta mobilità sociale, una ragionevole e non mortificante disparità di status costituisca una spinta importante al progresso economico complessivo. È altrettanto evidente che debbano essere condannate e bandite l’avidità e l’ostentazione.

Un ultimo punto prima della conclusione: il problema della biodiversità viene affrontato come se la Terra fosse restata identica a se stessa fin dall’epoca della Creazione, e fosse oggi uguale a quella dell’ottavo giorno. Sappiamo tutti, invece, che la Terra è un insieme di parti in continua evoluzione, interdipendente ma non sincronica: sono cambiate di molto le temperature, è cambiata radicalmente la composizione dell’atmosfera, sono cambiate le specie animali e vegetali che vi si trovano, eccetera; pretendere di bloccare un processo naturale che trova le regole per il suo sviluppo coesistenti nella sua natura, creata da Dio con tutte le sue articolazioni, mi pare veramente una pretesa anti provvidenziale.

Per concludere: in me, che sono certamente un pessimo cattolico ma un cattolico convinto, la lettura dell’Enciclica ha generato delusione e dolore profondo. Ad una analisi approfondita e puntuale mi dedicherò in altro momento, dopo lo studio approfondito che è necessario. Dovrò anche chiedere a qualche amico più esperto di me in studi teologici e sulla storia della Chiesa di chiarirmi un dubbio che ad oggi non ho risolto: si tratta di un testo concernente verità di fede o no? O non è piuttosto un insieme di (discutibili) indirizzi pastorali?

Sull’argomento ci dovremo sentire ancora, riprendendolo anche dal punto di vista del rapporto tra individui e Chiesa, e tra Chiesa e società: per la prossima volta mi impegno a produrre tutta la necessaria strumentazione di riferimenti e citazioni che oggi, per ristrettezza di tempo, ho omesso.