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ITALIA-EGITTO

Non politicizzare l'assassinio di Giulio Regeni

E' giusto cercare i responsabili dell'efferato delitto di Giulio Regeni. Ma si assume troppo in fretta che il regime di Al Sisi sia il mandante diretto dell'omicidio del giovane italiano. E i toni della stampa italiana sono diventati subito bellicosi nei confronti dell'Egitto, invece di seguire puntualmente l'indagine. Cosa c'è in ballo?

Editoriali 10_04_2016
Giulio Regeni

La ricerca dei responsabili dell’efferato assassinio al Cairo del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni merita senza alcun dubbio di venire condotta con il massimo impegno. E bene fa il nostro governo a sollecitare fermamente le autorità egiziane in tal senso. Tuttavia, più il tempo passa e più la vicenda appare caricata di uno spessore politico che ha ben poco a che vedere con quel  crimine, e anche con la spontanea oltre che doverosa partecipazione al dolore dei suoi genitori e dei suoi familiari. Sorprende inoltre il fatto che di recente un altro italiano sia stato non meno barbaramente assassinato a Caracas, in circostanze molto simili, senza che ciò abbia affatto trovato altrettanta eco sulla stampa del nostro Paese, né altrettanta mobilitazione da parte del nostro governo.

Alla notizia del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni è immediatamente scattata in Italia una campagna di stampa contro il governo egiziano, subito indicato come responsabile più o meno indiretto dell’assassinio. Che un governo “forte” come quello del generale Adb al-Fattah al Sisi non abbia un curriculum impeccabile in fatto di diritti umani, e che disponga di un grande apparato di sicurezza nonché di servizi e polizie segrete, è semplicemente ovvio. Che  però per questo abbia il controllo assoluto di qualsiasi cosa accada in Egitto è un’assurda pretesa. A ragione non lo si pretende da alcuno Stato, nemmeno dalle più consolidate ed efficienti democrazie; né tanto meno lo si può pretendere da un Paese strutturalmente autoritario come l’Egitto.  

L’assassinio di Regeni è inoltre un crimine che indiscutibilmente gioca contro il governo di Al Sisi. Se dunque si dovesse appurare che il ricercatore italiano è stato sequestrato e ucciso da servizi o da polizie segrete, non si potrebbe se non concludere che si tratta di un crimine voluto da segmenti dell’apparato di polizia egiziano che sono schierati contro l’attuale governo. Se dunque l’obiettivo è soltanto quello di appurare le verità sull’omicidio di Regeni allora l’Italia dovrebbe assumere un atteggiamento di collaborazione con il governo del Cairo invece di presumere a priori che sia il mandante del delitto o in ogni caso il protettore degli assassini. E’ viceversa evidente che c’è chi punta non tanto a scoprire chi ha ucciso Regeni e per quali motivi, bensì a far leva sulla vicenda per mettere in crisi le relazioni fra l’Italia e l’Egitto.

Per meglio capire di quale entità sia la posta in gioco è utile ricordare che nello scorso agosto in un’area delle acque territoriali egiziane in concessione all’Eni è stato scoperto un gigantesco giacimento di gas, ora noto col nome di Zhor, che potrebbe entrare in produzione già nell’anno prossimo. Si parla di una riserva di 850 miliardi di metri cubi di gas metano, cui si aggiunge un altro giacimento sottostante che contiene probabilmente petrolio o condensati. Da Zhor si prevede di estrarre nella fase di massimo sfruttamento da 70 a 80 milioni di metri cubi al giorno, pari a 30/35 miliardi l’anno. Forte di questa nuova gigantesca risorsa l’Eni si è fatto promotore di un progetto strategico la cui attuazione muterebbe a vantaggio dell’Italia l’intero quadro del mercato energetico europeo. L’idea è quella di creare una rete di impianti grazie a cui avviare verso l’Europa in modo coordinato gas proveniente sia dai giacimenti egiziani che da quelli, pure molto importanti ma oggi sotto-utilizzati, rispettivamente di Cipro e di Israele. Cipro diventerebbe in tale prospettiva il crocevia di gasdotti e di rotte di navi petroliere, nonché la sede di impianti di liquefazione e rigassificazione a servizio di questi giganteschi flussi di gas e di petrolio. L’Italia diventerebbe perciò la principale porta d’ingresso del gas naturale in Europa, purché l’attuale rete dei gasdotti europei venga a tal fine adeguata.

In questo quadro Giulio Regeni viene rapito e ucciso, e il suo corpo viene abbandonato sul ciglio di una delle autostrade egiziane più frequentate proprio mentre l’allora ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, si trova al Cairo per definire nuovi accordi di collaborazione con l’Egitto alla luce delle prospettive aperte dalla scoperta del giacimento Zhor. Il ministro non può perciò fare altro che sospendere la visita e rientrare a Roma in segno di lutto. Inizia poi subito la campagna di stampa di cui si diceva, accompagnata da un crescente inasprimento dei rapporti italo-egiziani fino al richiamo ieri a Roma dell’ambasciatore d’Italia al Cairo “per consultazioni”.

La stampa più influente non cessa di invitare il governo Renzi ad assumere un atteggiamento sempre più duro contro il governo del Cairo. E “se questo scenario dovesse prodursi”, osservava ieri (compiaciuto) il Corriere della Sera, “è impensabile possa aver luogo il vertice inter-governativo tra Matteo Renzi e Al-Sisi, accompagnato dalle rispettive squadre di ministri, previsto per quest’anno in una data non ancora stabilita”, ovvero il vertice nel corso del quale si dovrebbero  concludere e siglare i nuovi accordi di cooperazione nel quadro delle prospettive apertesi con la scoperta del giacimento Zhor. Stando così le cose, la gamma dei possibili motivi che hanno armato la mano degli assassini di Giulio Regeni inevitabilmente si amplia. L’efferato assassinio del giovane studioso - che  qualcuno aveva mandato un po’ allo sbaraglio in uno Stato di polizia a fare ricerche pericolose per un ricercatore che operava da solo e senza adeguato accreditamento - potrebbe esser stato voluto da chi è pronto a tutto per fermare gli sviluppi del processo messo in moto dalla scoperta di Zhor.