Non è ancora un mondo a misura di bambino
L'Unicef celebra il 25mo anniversario della Convenzione Onu per i diritti dell'infanzia con una pubblicazione che dimostra i passi avanti fatti nell'ultimo quarto di secolo. Ma le culture esterne all'Occidente sono ancora un mondo in cui i bambini sono trattati come proprietà. E anche noi stiamo facendo passi indietro.
Nessuna civiltà aveva mai fatto tanto per i bambini, per la loro sicurezza, la loro integrità fisica e morale, la loro serenità. Nella civiltà cristiana occidentale il diritto a un’infanzia felice e protetta si è affermato indiscusso, reso attuabile nel tempo di pace e di benessere crescente seguito alla fine del secondo conflitto mondiale. Nel 1946, per promuovere tale diritto ed estenderlo a tutti i bambini del mondo, è nato l’UNICEF, Fondo internazionale delle Nazioni Unite per l’infanzia, e nel 1989 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la costituzione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, divenuto il trattato in materia di diritti umani con il maggior numero di ratifiche: vi hanno infatti aderito finora 194 stati.
Quest’anno l’Unicef ne ha celebrato il 25° anniversario con una pubblicazione intitolata: “Il mondo è diventato un posto migliore per i bambini?”.
La risposta è affermativa, almeno se si considerano i numeri relativi a scolarizzazione, assistenza sanitaria, sicurezza alimentare. Tuttavia, dal 1946, milioni di bambini non occidentali hanno continuato, e continuano, a essere privati dell’infanzia: costretti da istituzioni millenarie a lavorare fin dai primi anni di vita, ad armarsi, combattere e uccidere, a sposarsi precocemente – le bambine cedute in matrimonio da una famiglia a un’altra in cambio di denaro – senza istruzione e cure mediche, condividendo con gli adulti condizioni abitative malsane, scarsità di risorse fino a patire la fame, tutti i rigori e i pericoli della guerra e dell’esodo forzato, sottoposti dai familiari a punizioni fisiche anche mortali, dovutamente inflitte per disobbedienze ritenute imperdonabili e irrimediabili.
L’ostacolo maggiore naturalmente era, ed è tuttora, la tradizionale concezione dei figli come proprietà, di cui disporre a discrezione, e dei bambini in generale come creature pre-sociali, di minor valore, persino sacrificabili agli adulti (“pre-persone”, per dirla con l’autore di fantascienza Philip Dick in un celeberrimo racconto): “conta sempre di più chi è nato prima” spiegava un anziano africano della costa swahili del Kenya per giustificare il fatto che, per tradizione tribale, i primi a mangiare devono essere gli uomini adulti e per ultimi i bambini, insieme alle madri, accontentandosi di quel che avanza.
L’Occidente, modello esemplare di sensibilità nei confronti dei più piccoli e vulnerabili, ha ritenuto quindi, e a ragione, di avere il dovere e il diritto di interferire nella vita delle famiglie e delle nazioni, oltre i propri confini, con iniziative a vari livelli in difesa dei bambini e per la affermazione dei principi universali espressi nella Convenzione: pressioni a livello governativo, campagne di denuncia, appelli internazionali, interventi umanitari per rimediare alla mancanza di risorse, di volontà e di impegno da parte di comunità e governi.
Quasi non ci si è accorti che, nel frattempo, qualcosa stava invece cambiando in Occidente, che, mentre restava salda e condivisa la promessa di procurare ai bambini ogni possibile bene materiale, non altrettanto lo era quella di salvaguardarne la dignità e lo sviluppo naturale: non se ostacolano rivendicazioni di libertà e di diritti, del tutto malintesi, eppure sostenute a costo di trasformare i bambini da persone, da soggetti dotati di diritti, in meri diritti essi stessi di qualcuno.
Su pressione di minoranze peraltro esigue, e tuttavia potenti, delle indicazioni ONU recepite dall’Unione Europea che, a sua volta, le traduce in direttive per gli stati membri, impongono come bene per i bambini attività sessuali praticate fin dall’asilo, partendo dalla masturbazione, e un precoce addestramento scolastico al sesso in qualsiasi sua forma, senza nulla escludere. L’ideologia del gender incita a manipolare i bambini fino a concepire di ritardarne la pubertà con la somministrazione di farmaci per consentire loro di scegliere a che sesso appartenere. Senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze, si permette che dei bambini non nascano da un atto d’amore, ma vengano fabbricati su ordinazione, e che crescano privi del papà o della mamma, negando la necessità che siano allevati in famiglie naturalmente formate da un uomo e da una donna.
Per decenni l’ideologia relativista ha criticato aspramente l’Occidente per i suoi tentativi di sradicare nel resto del mondo le istituzioni che violano i diritti umani: “che diritto abbiamo di giudicare istituzioni diverse dalla nostra?” si diceva persino di fronte alle mutilazioni genitali femminili e ai matrimoni imposti. Dopo aver tanto contribuito a proteggere i minori, davvero l’Occidente, dal momento che adotta a sua volta comportamenti e leggi incuranti e lesivi dei diritti dei bambini, perde adesso il diritto di denunciare e di contrastare le istituzioni che, altrove nel mondo, violano l’infanzia.
In verità, al diritto di difendere i bambini, l’Occidente sta già rinunciando. A giugno, al Consiglio ONU dei diritti umani, i paesi che vi rappresentano l’Occidente hanno rifiutato di firmare una dichiarazione in favore della famiglia perché in essa si diceva che “la famiglia è l’elemento naturale e fondamentale della società”, che “spetta alla famiglia in primo luogo allevare e proteggere i bambini e che essi, per poter raggiungere una completa e armoniosa maturazione della loro personalità, devono crescere in un quadro famigliare e in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”. Per mesi i delegati occidentali si erano battuti perché si scrivesse “la famiglia e altri tipi di unioni”.