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Non ci si può fidare di Facebook

Una ex dipendente di Facebook è uscita allo scoperto rivelando come il social più diffuso, contrariamente a quanto affermato, favorisca fake news e contenuti d'odio a puro scopo di profitto. Mentre da tempo sono a conoscenza che Instagram ha un effetto deleterio per le adolescenti.

Editoriali 05_10_2021

Frances Haugen, 37 anni, è un’ex dipendente di Facebook e una fonte chiave nello scacchiere che vede l’azienda di Zuckerberg contrastare una crisi reputazionale che sembra di essere ancora più travolgente di quella di Cambridge Analytica. Haugen ha dichiarato che l’algoritmo di Facebook – che, secondo le parole espresse a Roma nel 2018 dallo stesso Zuckerberg, doveva privilegiare i contenuti tra profili e limitare relazioni tossiche - non è stato costruito al fine di migliorare le conversazioni sicure, quanto per far aumentare il tempo di permanenza degli utenti sulle piattaforme. Per far ciò, è stato necessario aumentare la visibilità di alcuni profili con molti follower – quindi i Vip più capaci di magnetizzare l’attenzione - benché i loro stessi contenuti valicassero le norme anti-odio previste dalla piattaforma.

Haugen, ingegnere informatico addetta ai dati e laureata ad Harvard, è la talpa che ha girato al Wall Street Journal decine di migliaia di pagine di ricerche interne di Facebook affinché si alzasse il polverone di cui la Nuova Bussola Quotidiana ha scritto settimana scorsa. Parlando a lungo in un’intervista alla CBS, la talpa avrebbe dichiarato: «C’era un piano di sicurezza [per limitare i discorsi d’odio e di disinformazione] ma dopo le elezioni presidenziali del 2020 qualcosa è cambiato». La piattaforma si è rivelata meno sicura nel limitare gli hate speech, a tutto favore di un incremento delle conversazioni scandalistiche e del tempo di permanenza sulla piattaforma degli utenti abbindolati dalle fake news.

I contenuti d’odio fanno comodo a Facebook, che in una nota scritta si è difesa sostenendo che la sua compagine sta lavorando indefessamente «per contrastare la diffusione di disinformazione e contenuti che possano danneggiare le persone». Tuttavia, gli studi estratti dal materiale raccolto da Haugen sembrano confermare il contrario. Nulla è stato fatto affinché contenuti tossici passassero al vaglio, anzi. Al fine di aumentare il tempo di permanenza e il numero di interazioni – dati necessari per profilare gli utenti e vendere ulteriori spazi pubblicitari – continuano ad essere favoriti contenuti deleteri e falsi, con l’ulteriore aggravio di aumentare la pervasività di tale contenuti da parte di profili di “serie A”, con molti follower.

Dai documenti si estrae però un’altra sintesi preoccupante: Instagram ha un effetto negativo verso i giovani, specialmente ragazze. Su questo argomento ha discusso al Senato americano il capo dei legali di Facebook, Antigone Davis, che ha esposto le ricerche interne a Facebook. Ricerche che, a detta dell’avvocato, avevano appunto l’obiettivo di capire come limitare l’impatto dei propri contenuti su ansia e depressione giovanile. Richard Blumenthal, che presiedeva al Senato, ha però ricordato a Davis che le stesse accuse erano state mosse in agosto, e la risposta di Facebook fu perentoria: «Non ci sono ricerche che testimoniano alcuna correlazione negativa tra malessere psicologico ed Instagram».

Sull’argomento si è espresso anche Pratiti Raychoudhury, Vice Presidente di Facebook e capo del dipartimento di ricerca, dichiarando che «la ricerca effettuata è rimasta segreta perché non abbastanza accurata da dimostrare che Instagram sia effettivamente tossico per le ragazze adolescenti». Nelle slide allegate, tuttavia, pare che, tra tutti i problemi relativi al benessere fisico e mentale legati all’uso di Instagram, l’unico a subire un impatto notevole grazie al social sia la Body Image, la consapevolezza e il benessere relativo al nostro corpo. Una adolescente su tre – almeno negli USA, in Brasile, in Turchia, in India, in Giappone e in Indonesia, paesi in cui è stata sottoposta l’analisi – ammette che Instagram ha peggiorato questa percezione.

Sulla scorta di queste dichiarazioni, Facebook ha dichiarato di aver posticipato a data da destinarsi l’uscita di Instagram Kids, una piattaforma “sicura” per nuovi utenti under 13. Tuttavia, lo scontro è appena iniziato. Il senatore Ben Ray Lujàn ha chiesto che fossero resi trasparenti i dati usati per l’analisi. Dati che, ricordiamo, sono di proprietà del colosso americano, che decide quali e quanti mostrarne.

Non sappiamo quel che succederà, ma Facebook non sta facendo altro che ripetere la propria strategia: nascondersi dietro un dito ed evitare qualunque tipo di responsabilità. Non possiamo far altro che far nostra e ripetere la domanda di Blumenthal: «Come facciamo a fidarci ancora di Facebook?».