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L'INCHIESTA DEL WSJ

Le verità scomode (e taciute) di Facebook

Un’inchiesta del Wall Street Journal svela degli inquietanti retroscena che rischiano di minare l’autorevolezza morale di Zuck e compagni. Da anni Facebook è a conoscenza delle modalità attraverso le quali i propri social media (Facebook ed Instagram) influiscono negativamente sullo stato di benessere fisico, psicologico e sociale dei propri iscritti, con particolare durezza verso i più giovani. L’azienda ha risposto alle accuse mosse garantendo maggiore collaborazione e trasparenza, ma pesa la recidività mostrata anche in passato. 

Educazione 27_09_2021

Un’inchiesta del Wall Street Journal svela degli inquietanti retroscena che rischiano di minare l’autorevolezza morale di Zuck e compagni. Da anni Facebook è a conoscenza delle modalità attraverso le quali i propri social media (Facebook ed Instagram) influiscono negativamente sullo stato di benessere fisico, psicologico e sociale dei propri iscritti, con particolare durezza verso i più giovani.

L’inchiesta in oggetto è basata sulla revisione di una serie di documenti interni a Facebook, inclusi rapporti di ricerca, discussioni online tra dipendenti, bozze di presentazioni preparate per i manager senior e per il board direttivo. Un’indagine che scava negli ultimi anni di attività di quello che è diventato un vero e proprio colosso globale, capace di sfondare il muro dei tre miliardi di iscritti e con un valore azionario in crescita del 168% negli ultimi 5 anni.

I documenti in mano ai giornalisti del Wall Street Journal dimostrano che, negli anni, la consapevolezza in merito agli effetti negativi della piattaforma sugli utenti è via via aumentata. Ma nonostante ciò, e nonostante le molteplici udienze in Parlamento, le numerose rivelazioni dei media, lo scandalo Cambridge Analytica, ecc., Facebook non ha mai risolto e sistemato le cause, pur conosciute, di questi effetti.

Ad esempio: da anni Facebook è a conoscenza che Instagram, social network di sua proprietà, ha un effetto tossico per le adolescenti. I ricercatori di Facebook hanno studiato quale fosse l’effetto della condivisione delle foto su Instagram per l’audience più giovane, con risposte di considerevole impatto: sarebbe infatti alla base di disturbi di comportamenti alimentari, depressione, auto isolamento, fino a sfociare in veri e propri pensieri suicidi. Nonostante ciò, le ricerche non sono mai state rese pubbliche, anzi, a chiunque avesse da ridire sui probabili effetti negativi di Instagram sugli adolescenti, Facebook ha sempre risposto sminuendo il problema. Tuttavia, una slide diffusa nelle chat interne all’azienda nel 2020 avrebbe presentato l’esergo: “Il 32% delle adolescenti dicono che quando hanno pensieri negativi sul proprio corpo, Instagram le fa sentire peggio»

Un secondo elemento: il fenomeno dell’”XCheck”, o controllo incrociato. Da sempre Facebook dichiara con orgoglio di aver creato una piattaforma dove tutti avessero il medesimo diritto di parola. Salvo poi, come abbiamo visto tra le pagine di questo stesso sito, modificare di volta in volta e a suo piacimento queste linee guida in funzione del proprio obiettivo. Alcune carte di questa inchiesta dimostrano che alcuni utenti VIP sono esentati dalle stesse regole di condotta che vengono applicate ai “comuni mortali” sui social network. Pur essendo inteso, agli inizi almeno, come una misura di controllo della qualità dei contenuti postati dagli account con più seguaci, oggi questo sistema protegge i VIP dalla normale applicazione delle regole di condotta e della netiquette dei social network, permettendo di fatto la pubblicazione di materiale che include molestie, incitamento alla violenza.

La terza verità venuta a galla: Facebook è a conoscenza del fatto che nei paesi in via di sviluppo, dove la base di iscritti è in continua espansione, la piattaforme social sono usate a scopi non umanitari. In Medio Oriente, il sito è utilizzato per attirare le donne verso la prostituzione. In Etiopia, il social network è utilizzato per il reclutamento dei gruppi armati e per l’incitamento all’odio contro le minoranze etniche. Tuttavia, la risposta dell’azienda è sempre stata inadeguata e, in molti casi, addirittura nulla.

Nonostante l’azienda abbia già risposto alle accuse mosse dal Wall Street Journal garantendo maggiore collaborazione e trasparenza, la storia recente di Zuckerberg e compagnia mostra la brutta faccia della recidività. La sicurezza nei confronti delle potenziali misure di monitoraggio e di riparazione delle mancanze sottolineate dall’inchiesta è tutto fuorché garantita, soprattutto visti i precedenti. L’arma di comunicazione di Facebook è spesso quella di non rispondere e di lasciare che l’ondata di nuovi contenuti “insabbi” la perla estratta con tanta fatica dal pantano dalla testata newyorkese. D’altronde, sono proprio loro, Zuckerberg e soci, a controllarne la marea.