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IL TESTO

"Non ci indurre in tentazione", il Catechismo

«Questa domanda va alla radice della precedente, perché i nostri peccati sono frutto del consenso alla tentazione. Noi chiediamo al Padre nostro di non “indurci” in essa.....»

Ecclesia 20_11_2018

VI. Non ci indurre in tentazione

[2846] Questa domanda va alla radice della precedente, perché i nostri peccati sono frutto del consenso alla tentazione. Noi chiediamo al Padre nostro di non “indurci” in essa. Tradurre con una sola parola il termine greco è difficile: significa “non permettere di entrare in” (Cf Mt 26,41) “non lasciarci soccombere alla tentazione”. «Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male» (Gc 1,13); al contrario, vuole liberarcene. Noi gli chiediamo di non lasciarci prendere la strada che conduce al peccato. Siamo impegnati nella lotta “tra la carne e lo Spirito”. Questa richiesta implora lo Spirito di discernimento e di fortezza.

[2847] Lo Spirito Santo ci porta a discernere tra la prova, necessaria alla crescita dell’uomo interiore (Cf Lc 8,13-15; At 14,22; 2Tm 3,12) in vista di una «virtù provata» (Rm 5,3-5) e la tentazione, che conduce al peccato e alla morte (Cf Gc 1,14-15). Dobbiamo anche distinguere tra “essere tentati” e “consentire” alla tentazione. Infine, il discernimento smaschera la menzogna della tentazione: apparentemente il suo oggetto è «buono, gradito agli occhi e desiderabile» (Gen 3,6), mentre, in realtà, il suo frutto è la morte.

«Dio non vuole costringere al bene: vuole esseri liberi... La tentazione ha una sua utilità. Tutti, all’infuori di Dio, ignorano ciò che l’anima nostra ha ricevuto da Dio; lo ignoriamo perfino noi. Ma la tentazione lo svela, per insegnarci a conoscere noi stessi e, in tal modo, a scoprire ai nostri occhi la nostra miseria e per obbligarci a rendere grazie per i beni che la tentazione ci ha messo in grado di riconoscere» (Origene, De oratione 29).

[2848] “Non entrare nella tentazione” implica una decisione del cuore: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore... Nessuno può servire a due padroni» (Mt 6,21; Mt 6,24). «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25). In questo “consenso” allo Spirito Santo il Padre ci dà la forza. «Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1Cor 10,13).

[2849] Il combattimento e la vittoria sono possibili solo nella preghiera. È per mezzo della sua preghiera che Gesù è vittorioso sul Tentatore, fin dall’inizio (Cf Mt 4,1-11) e nell’ultimo combattimento della sua agonia (Cf Mt 26,36-44). Ed è al suo combattimento e alla sua agonia che Cristo ci unisce in questa domanda al Padre nostro. La vigilanza del cuore, in unione alla sua, è richiamata insistentemente (Cf Mc 13,9; Mc 13,23; Mc 13,33-37; 2849 Mc 14,38; Lc 12,35-40). La vigilanza è “custodia del cuore” e Gesù chiede al Padre di custodirci nel suo Nome (Cf Gv 17,11). Lo Spirito Santo opera per suscitare in noi, senza posa, questa vigilanza (Cf 1Cor 16,13; Col 4,2; 1Ts 5,6; 1Pt 5,8). Questa richiesta acquista tutto il suo significato drammatico in rapporto alla tentazione finale del nostro combattimento quaggiù; implora la perseveranza finale. «Ecco, Io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante» (Ap 16,15).