Non c’è misericordia senza confessione e pentimento
La misericordia di Dio non è a buon mercato. Il Papa, nel suo libro Il nome di Dio è misericordia, ci dice che la misericordia di Dio non può essere disgiunta dalla giustizia, che comporta il castigo per il malvagio e il premio per chi opera il bene, e dalla veritàlche esige che il male venga riconosciuto come male.
La misericordia di Dio è a buon mercato? Vi sono alcuni passaggi del libro intervista del Papa Il nome di Dio è misericordia che ci fanno capire che la misericordia di Dio non può essere disgiunta dalla giustizia – la quale richiede che chi opera il bene riceva un premio e chi compie il male sia punito – e dalla verità – la quale invece esige che il male venga riconosciuto come male. Andrea Tornielli, che ha intervistato il Pontefice, ad esempio, ricorda una sua omelia a Santa Marta in cui Francesco, spiegando l’incontro di Gesù con l’adultera che stava per essere lapidata, rammenta che Cristo «difende il peccatore da una condanna giusta». Il Papa, quindi, ci dice che il peccato merita una condanna che, per giustizia, non può che essere proporzionalmente severa tanto quanto la gravità del peccato.
Un peccato che non è solo, nella visione pauperista della dottrina, di carattere sociale ed economico, ma soprattutto di carattere intellettuale, aspetto che più da vicino interessa l’ortodossia: «E non ci sono soltanto le malattie sociali e le persone ferite dalla povertà, dall’esclusione sociale, dalle tante schiavitù del terzo millennio. Anche il relativismo ferisce tanto le persone: tutto sembra uguale, tutto sembra lo stesso». Il Pontefice, poi, chiarisce che ci devono essere due atteggiamenti affinché la grazia di Dio possa operare, cioè affinché il nostro peccato sia perdonato. L’ammissione sincera e dispiaciuta del proprio errore e l’emenda, cioè la volontà di cambiare, di non peccare più. Sul primo atteggiamento Francesco afferma che se non c’è coscienza del peccato ovviamente non ci può essere perdono.
É la ferita forse più profonda del momento storico in cui viviamo, spiega il Pontefice ricordando che Pio XII «più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato». Poi aggiunge, riferendosi appunto alla condizione interiore che porta a provare dolore per i peccati commessi, che «quando uno sente la misericordia di Dio, ha una grande vergogna di se stesso, del proprio peccato. […] La vergogna è una delle grazie che Sant’ignazio fa chiedere nella confessione dei peccati davanti al Cristo crocefisso. […] Colui che si confessa è bene che si vergogni del proprio peccato: la vergogna è una grazia da chiedere, è un fattore buono, positivo che ci fa umili». Poi, citando Sant’Agostino, aggiunge: «Quando pecchiamo dobbiamo provare dispiacere di noi stessi, perché i peccati dispiacciono a Dio». I Padri della Chiesa – e queste ritornano a essere le parole del Papa – «insegnano che questo cuore a pezzi è l’offerta più gradita a Dio. È il segno che siamo coscienti del nostro peccato, del male compiuto».
Francesco, inoltre, illustra che per confessarsi con le disposizioni adeguate occorre che il penitente «sappia guardare con sincerità a se stesso e al suo peccato. E che si senta peccatore. […] La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla…. Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno». Dunque, l’amore di Dio per noi non può essere disgiunto dal riconoscere con verità il male che abbiamo commesso. Così il Papa: «La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato». A seguire il Pontefice esplicita questo pensiero riferendosi ad un caso particolare: l’omosessualità. «Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi. […] Puoi consigliare loro la preghiera, la buona volontà, indicare la strada». Se le condotte omosessuali non fossero scelte peccaminose, perché il Papa dovrebbe consigliare alle persone omosessuali di confessarsi e di tentare di cambiare strada?
La mancanza di questa condizione del foro interno chiamata contrizione (dolore del peccato in sé perché così ho offeso Dio) o attrizione (dolore per il peccato commesso perché sono timoroso del castigo di Dio) non può portare alla remissione dei peccati. Questo è ben evidenziato quando il Papa spiega che alcune volte il confessore non può assolvere e si dovrà limitare a una benedizione del fedele. In merito al secondo atteggiamento che chiede l’impegno per una conversione seria e profonda della propria vita, Francesco mette in guardia i fedeli dall’intendere la confessione come una tintoria: uno entra in confessionale, dice i suoi peccati e automaticamente questi vengono lavati via. Ciò non accade se non c’è un proposito di radicale di abbandonare la via del male.
Più in particolare il Papa fa un distinguo importante: c’è chi cade e si rialza e cade nuovamente ma non abbandona la lotta spirituale. E poi c’è chi – il “corrotto” - si sente a posto e quindi non si pente dei propri peccati e dunque non vuole convertirsi: «Il corrotto […] è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano e con la sua doppia vita dà scandalo». Costui si sottrae volontariamente alla misericordia di Dio.