«Noi una famiglia». Allora Cameron abolisca il divorzio
Sul referendum sull’indipendenza della Scozia si stanno giocando tutte le possibili carte, specie da parte unionista. L’ultima è quella del premier Cameron: quasi con le lacrime agli occhi ha detto che «non si spezza una famiglia». Se così è, dovrebbe presentarsi davanti alle Camere e chiedere l’immediata abrogazione della legge sul divorzio.
Il referendum sull’indipendenza della Scozia è alla volata finale, e ormai si stanno giocando tutte le possibili carte, specie da parte unionista. Da quando, infatti, i sondaggi hanno aperto gli occhi agli inglesi rivelando che la vittoria degli indipendentisti scozzesi non è una chimera sognata da pochi illusi nostalgici dei kilt e delle cornamuse, ma una realtà concretissima, Londra è entrata in fibrillazione e sta cercando di scongiurare la vittoria scozzese con ogni mezzo, con le buone e le cattive. Le cattive sono le fortissime pressioni esercitate da gruppi bancari e finanziari, facendo intendere abbastanza minacciosamente che una fuoriuscita da Regno Unito avrebbe pesanti conseguenze sulla Scozia.
La Royal Bank of Scotland ha già annunciato che trasferirebbe la propria sede centrale a Londra (e in tal caso che senso avrebbe ancora il definirsi “of Scotland”?) e altri grandi gruppi britannici hanno manifestato una simile attitudine, che nonostante lo stile paludato e l’aplomb inglese sembrano avere tutta l’aria di un ricatto. Per quanto riguarda i metodi più buonisti, spiccano le blandizie di J.K. Rowling. L’autrice di Harry Potter, inglese trapiantata a Edimburgo, è una delle principali sostenitrici della campagna unionista. Forse spera che la magia di Hogwarts possa incantare gli scozzesi e convincerli a restare nel Regno Unito.
Ma la sorpresa più clamorosa di questa ultima parte di campagna referendaria è venuta dal premier Cameron. Nel giro di pochi giorni si è recato due volte in Scozia, in entrambi i casi tenendo discorsi che hanno fatto ampio uso non solo della retorica, ma perfino del patetico. Dopo aver detto a Edimburgo che il distacco della Scozia «gli spezzerebbe il cuore», ieri ad Aberdeen è andato oltre: quasi con le lacrime agli occhi ha detto a gran voce che «non si spezza una famiglia». Un’affermazione sensazionale. Presa davvero sul serio, dovrebbe comportare tutta una serie di coerenti conseguenze. David Cameron dovrebbe presentarsi davanti alle Camere e chiedere l’immediata abrogazione della legge sul divorzio. Se, infatti, non è opportuno che si spezzi una “famiglia” di Nazioni, ammesso che il Regno Unito la sia mai stata, a maggior ragione non si dovrebbe sfasciare una famiglia vera e propria, fatta da un uomo e una donna che si erano liberamente scelti per amarsi, e dai figli nati da questo amore. Cameron ha idea di quanta sofferenza venga dalla distruzione di questo tipo di famiglia? Molto di più di quello di una secessione di una nazione che in questa unione era stata costretta con la violenza prima e poi col tradimento della propria classe dirigente.
Se poi ci venissero a dire, anzi, a ribadire, che il divorzio di due individui è un diritto civile intoccabile e irrevocabile, in nome magari del “diritto alla ricerca della felicità personale”, sarebbe interessante capire per quali motivazioni invece le nazioni non possono usufruire di questo diritto e cercare di ottenere un bene maggiore per i propri cittadini. Un paradosso sul quale certamente avrebbe scritto pagine infiammate il buon G.K. Chesterton, che era inglese con origini scozzesi da parte di madre, e che nella sua opera A short History of England difese già novant’anni fa il diritto della Scozia ad essere una nazione indipendente di fronte a Dio e di fronte agli uomini, come lo era stata nei secoli antichi. Ma Chesterton era un patriota, e non un nazionalista. La differenza è significativa: il nazionalista idolatra il proprio Paese, e disprezza gli altri. Il patriota ama la propria Patria, e questo amore lo spinge ad apprezzare e perfino amare anche le patrie altrui.
Per questo Chesterton, inglese fino al midollo, londinese cockney come pochi altri, si battè per i diritti dell’Irlanda, e poi si impegnò perché altre piccole o grandi patrie, come ad esempio la Polonia, vedessero riconosciuti i propri diritti ad esistere. Gli indipendentisti scozzesi sono molto chestertoniani: essi non ce l’hanno con l’Inghilterra; nelle loro politiche non c’è neanche l’ombra della xenofobia, tant’è che la maggioranza degli scozzesi di origine straniera, immigrati o figli di immigrati, ha dichiarato che voterà Yes. Vogliono semplicemente esseri liberi nel loro Paese. Una indipendenza che non è contro nessuno, ma è semplicemente un atto di amore verso la propria storia, le proprie tradizioni, la propria identità, il proprio destino.