Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

EGITTO

«Noi copti siamo vittime dello scontro di potere»

Drammatica testimonianza dal Cairo.
La fine di Mubarak non c’entra con l'attuale escalation di terrore. - Egitto, la "primavera" è finita, di V. Colombo

Attualità 11_10_2011
Cristiani copti in Egitto

 

«Il militare che giaceva a terra e che diceva che sono stati i copti a iniziare gli scontri» - quelli che il 9 ottobre  hanno causato la morte di 24 cristiani copti e il ferimento di altri 200 per le strade de Il Cairo -, «quel militare mentiva. A sparare per primo sulla manifestazione dei cristiani è stato l’esercito. Nella capitale egiziana tutti lo sanno e lo dicono. La televisione di Stato ha trasmesso un’intervista taroccata: anche i musulmani onesti lo pensano». A parlare è una vecchia conoscenza cairota, un funzionario di una società commerciale internazionale, buona cultura e ottima conoscenza - anche per motivi di lavoro - degli attuali problemi del Paese. Chiede di restare anonimo e avvisa che d’ora in poi comunicare con lui diventerà più difficile: è infatti un egiziano cristiano di rito copto e quindi ha paura.

Alla manifestazione lui non è andato. Vi si era invece recata la sorella con due dei suoi figli. «Oggi anche andare a protestare pacificamente per le strade de Il Cairo è una follia - commenta -, non un atto di coraggio. Perché ormai le strade della città non sono più sicure per nessuno, nemmeno per i musulmani. Ci sono molte persone che non hanno più né cervello né un minimo di coscienza, e gente del tutto normale gira per le strade armata».

«Le strade sono infestate da vagabondi e delinquenti», precisa. «Solo loro adesso si muovono liberamente. Stamattina ho preso il taxi di un amico musulmano e lui mi ha raccontato che i suoi figli hanno paura ad andare a scuola la mattina».

La fine di Hosni Mubarak non c’entra nulla con questa escalation di terrore, il germe dell’odio non trovava ostacoli neppure sotto il regime dell’ultimo “faraone” d’Egitto. Il nostro amico è sicuro di quanto sostiene. Il numero dei musulmani estremisti è cresciuto con l’aumento della povertà e della corruzione del Paese, e sono questi i motivi per cui Mubarak e la sua famiglia hanno perso il potere. Le violenze contro i copti erano già una vera e propria persecuzione di una minoranza religiosa prima della rivoluzione del 25 gennaio; e non per motivi religiosi, ma solo di potere e di denaro.

«Le masse, cioè i poveri spiantati e vagabondi, musulmani o no che siano ma senza cultura, per due soldi sono pronti a commettere qualsiasi reato gli si chieda», aggiunge. «Anche  le truppe dell’esercito sono sottopagate. Far fuoco su chi si desidera eliminare dalla nostra società è per loro un modo di sopravvivere grazie a qualche extra. Non è un problema di religione», insiste; «È solo una questione di potere. In genere i copti sono un segmento della società egiziana più colta, con un lavoro migliore».

Insomma, in Egitto starebbe ripetendosi per i copti quanto già successo agli ebrei in Europa o agli armeni in Turchia. La religione è una scusa utile a colpire una minoranza, che ha fatto strada nella società in cui vive da secoli. In più, nell’Egitto di oggi i copti sono una minoranza liberale, che vuole una democrazia capace,  dopo “rivoluzione”, di assicurare, finalmente, uno Stato di diritto per tutti i cittadini senza eccezioni.

«Credo - dice - che queste sommosse mirino, anzitutto, a far fallire le prossime elezioni politiche, fissate per il 28 novembre. Ci sono estremisti religiosi che sono contro tutti, persino contro alcuni dei loro correligionari. Per questo le maggiori autorità del mondo musulmano egiziano non smettono di richiamare i propri fedeli all’unità. Adesso la festa del venerdì è chiamata festa dell’unità dei musulmani».

Ora il nostro interlocutore è un fiume in piena. Racconta di come lo stesso ambiente salafita - che per i cronisti occidentali costituisce già, da sempre, la frangia più estrema dell’ultrafondamentalismo musulmano – vi sarebbe chi cerca di dare vita a nuclei ancora più fanatici animati da visione dell’islam letteralmente insensata e folle. «Ci sono – specifica - musulmani che credono che anche solo vestirsi all’occidentale sia un peccato da perseguire e così girano per i piccoli villaggi dell’Egitto, dove sono tutti poverissimi, e fomentano l’odio. Avete mai visto quegli uomini che hanno una macchia nera nel centro della fronte? Sono quelli  che pregano sbattendo continuamente la testa contro un sasso o una parete dura, fino a che non gli rimane il segno, indelebile, degli urti. Dimostrano così la loro devozione».

E ancora: «Durante la manifestazione, all’inizio della sparatoria, mia sorella è riuscita a rifugiarsi dentro il primo albergo che ha trovato. Vi è rimasta fino a notte, riuscendo poi a tornare a casa. Questi estremisti rifiutano la libertà e combattono per impedire agli egiziani di raggiungerla. E i recenti episodi di sangue dimostrano quanto, nell’esercito e nei vertice del potere egiziano attuale, come però avveniva pure sotto Mubarak, vi siano molte forze e molti denari che non vogliono una svolta di libertà per il nostro Paese».

L’intellettuale egiziano Tarek Heggy, intervistato da La Bussola Quotidiana qualche mese fa, sostiene la medesima cosa nel suo libro Le prigioni delle menti arabe (Marietti, Milano 2010): la guerra di religione in Egitto avrebbe aumentato i propri proseliti con l’arrivo dei petroldollari, esattamente come in molti altri Paesi mediorientali.