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IL PREMIO PER LA PACE

Nobel a Memorial, finestra sui crimini dell'Urss

Nobel per la Pace politici e contro Putin, vinti dal Center for Civil Liberties ucraino, dall'associazione russa Memorial e dal dissidente bielorusso Byalyatski. Ma sono, soprattutto il Nobel a Memorial, anche un riconoscimento importante per chi per primo ha riportato alla luce i crimini del comunismo. 

Attualità 08_10_2022
Memorial, la ex sede di Mosca

Tutti gli ultimi Nobel per la Pace sono premi politici, soprattutto quando vengono assegnati, non ad una persona, ma ad un’associazione. Quest’anno, il Comitato ne ha assegnati addirittura tre assieme, due associazioni e una persona. Sono tre premi contro Putin, anche se il Comitato nega questa intenzione. Ma, con le migliori o le peggiori intenzioni, intanto sono state spalancate tre finestre sul passato (recente e remoto) dell’Europa che un tempo era soggiogata all’impero sovietico.

L’unica persona fisica a ricevere il premio è infatti Ales Byalyatski, dissidente sovietico, poi divenuto politico democratico della Bielorussia indipendente e infine un perseguitato politico nel regime post-comunista di Minsk. La prima associazione premiata è l’ucraina Center for Civil Liberties, fondata nel 2007, tre anni dopo la Rivoluzione Arancione, per promuovere democrazia e diritti umani in un Paese ancora in transizione. Attiva durante la rivoluzione del Maidan del 2013-14, come rete di soccorso delle vittime della polizia, durante la successiva guerra del Donbass e ancor più nella guerra in corso, ha documentato i crimini delle forze russe.

Ales Byalyatski e Memorial, soprattutto, sono pezzi importanti di storia sovietica. L’attivista bielorusso incominciò la sua resistenza pacifica al regime comunista all’inizio degli anni Ottanta. Con le riforme di Gorbaciov e la prima democratizzazione, divenne consigliere della capitale a Minsk e portò per la prima volta in un’istituzione pubblica la bandiera bianco-rosso-bianca della Repubblica Democratica Bielorussa del 1918, unico tentativo indipendentista tentato fino a quel momento. Nell’agosto del 1991 ordinò a tutti i cittadini di Minsk di resistere “con i mezzi costituzionalmente garantiti” dal tentativo di golpe militare (e del Kgb) in corso a Mosca. Dopo lo scioglimento dell’Urss e fino al 1996, raggiunta l’indipendenza, Byalyatski fu un politico democratico. Quando il presidente Lukashenko, dichiaratamente un nostalgico dell’Urss, iniziò a costituire un nuovo regime, con caratteristiche sia nazionaliste che comuniste, Byalyatski costituì la sua organizzazione non governativa, Vyasna-96, in difesa dei diritti umani. Nel 2003 venne dichiarata fuorilegge dopo aver investigato sulle elezioni vinte da Lukashenko nel 2001. E qui inizia il periodo di nuova dissidenza, dentro e fuori dai processi, dentro e fuori dal carcere. Dopo cinque candidature al premio Nobel, Byalyatski l’ha finalmente vinto. C’è voluta una guerra per accendere i riflettori anche sulla Bielorussia.

La parabola di Byalyatski, da dissidente a politico e da politico a dissidente di nuovo, è la caratteristica della storia post sovietica. Anche Memorial, nata in un momento di disgelo e cresciuta per documentare la verità sul passato sovietico, di cui si poteva finalmente parlare, è infine tornata nell’ombra, per decisione del nuovo regime, alla vigilia della guerra.

Memorial è nata nel 1988, dopo una manifestazione di dissidenti nel parco Druzhba, presso Mosca, in cui si chiedeva di erigere un monumento alle vittime del terrore staliniano. Il fisico Andrej Sacharov fu uno dei fondatori dell’associazione, che prese il via proprio nel primo anno di glasnost, dunque di relativa libertà di espressione. Sergej Kovalijov, uno degli organizzatori della manifestazione divenne anche uno dei primi presidenti dell’associazione. Nei primi anni dopo il collasso dell’Urss, Memorial prese piede in tutta l’ex Unione Sovietica e soprattutto in Russia. Il suo scopo era quello di far riemergere un passato che fino a quel momento era stato cancellato dal regime comunista, ricordare e riabilitare le vittime del terrore sovietico, molte delle quali sono tuttora senza nome e senza sepoltura.

“Tutti provano compassione per le vittime del terrore – scriveva lo storico Arsenij Roginskij, direttore di Memorial dal 1998 al 2017, anno della sua morte – Alcuni sindaci e governatori provano compassione per le vittime. Il presidente Putin prova compassione per le vittime innocenti. La gente comune prova compassione per le vittime innocenti. E’ come quando tutti accendono una candela in chiesa. Ma da chi fu scatenato il terrore? Chi lo ha commesso? Se non lo comprendiamo, nulla potrà andare oltre un normale fiocco del lutto per esprimere solidarietà”.

Chiudere le due branche principali di Memorial alla fine del 2021, non è stato solo un modo di tappare la bocca a un avversario interno scomodo, che investigava anche sui crimini della nuova Russia. Piuttosto, è stato come chiudere l’unica finestra sulla storia dei crimini del comunismo, un passato per il quale il negazionismo è sempre lecito (non solo in Russia, ma anche in Italia). Si spera che, al di là degli intenti immediati del Comitato del Nobel, questo premio serva anche a riaprirla, questa finestra e a tenere viva la memoria.