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DOTTRINA E PASTORALE

"No aborto, famiglia una sola", dice il Papa. Sì, ma...

Se padre Martin parlerà di integrazione, di accoglienza, di accompagnamento e di discernimento la dottrina non verrà formalmente negata ma verrà messa da parte con un “sì, ma”. Ma mettere da parte la dottrina e fare come se essa non fosse vuol dire cambiarla (senza dirlo).

Editoriali 18_06_2018

Papa Francesco, come riportato da la NBQ ieri, parlando al Forum delle famiglie italiano, ha ribadito che la famiglia è una sola ed è formata da un maschio e da una femmina, con la negazione di altri tipi di famiglia compresa quella cosiddetta omosessuale. La dichiarazione del Papa è stata messa in relazione con l’annunciata partecipazione come relatore del gesuita padre James Martin, sostenitore delle famiglie arcobaleno, al prossimo forum Mondiale della Famiglia atteso a Dublino, come se Francesco lo avesse sconfessato.

Se questa interpretazione fosse corretta, ne dovrebbe conseguire una revisione del programma della IX Giornata Mondiale delle Famiglie prevista in agosto nella capitale irlandese e l’eliminazione della conferenza di padre Martin. Ma io non credo che sarà così, penso invece (ben disposto ad essere smentito, naturalmente) che la conferenza Martin verrà confermata. Nella Chiesa di oggi la discontinuità tra dottrina e pastorale e il pluralismo dottrinale sono, purtroppo, cose ampiamente acquisite. Il che richiede una nuova considerazione anche di questi pronunciamenti del Papa.

I vescovi irlandesi, in occasione del recente referendum sull’aborto, hanno accettato una legge che permetta l’aborto in modo legale, sicuro e raro. La “rarità” è stata ritenuta sufficiente ad accettare una legge che comporta l’uccisione di un essere innocente e a confermare la teoria del male minore assolutamente condannata dalla morale cattolica. Una cosa simile ha detto il cardinale Bassetti a proposito della nostra legge 194. Nessuno, da Roma, li ha richiamati. Ora Papa Francesco dice al Forum delle famiglie italiano che l’aborto è come l’olocausto nazista fatto con i guanti bianchi. Bene, ma questa verità come si combina con quella dei vescovi irlandesi? Come si combinano le affermazioni del Papa sulla famiglia con la conferenza di Padre Martin a Dublino?

Si tratta di incidenti? Di incomprensioni? Di fughe in avanti? Credo che ci sia qualcosa di più profondo. Oggi il magistero stesso insegna che la dottrina può e deve essere interpretata. Mi limito qui a citare solo l’Esortazione Amoris Latitia: “Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo. Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, «le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato”.

All’origine di questa impostazione c’è l’idea che anche la fede degli apostoli sia stata interpretazione e non conoscenza, perché, come è stato detto, non c’era il registratore ai tempi di Gesù. L’interpretazione è qui intesa nel senso che vi hanno dato il filosofo tedesco Gadamer e l’esistenzialismo in genere. Di un testo, sia esso la Bibbia o la Repubblica di Platone, oggi possiamo dire di conoscerlo meglio del suo stesso autore, grazie appunto alla storia delle interpretazioni che ne hanno sviluppato il senso originario, senza mai poter arrivare alla “lezione”, ossia al suo primo e fondante significato. Intesa in questo senso l’interpretazione è una fonte di sempre nuove verità in dipendenza dal momento storico da cui nascono le sempre nuove precomprensioni. É storicismo? Direi di sì. Ai fini del nostro discorso è sufficiente riconoscere che questa visione delle cose porta necessariamente a diverse interpretazioni, con la possibilità che il Papa dica una cosa e padre Martin a Dublino ne dica un’altra. Si badi bene che la cosa si pone anche al livello diocesano, ove è possibile che il vescovo dica una cosa e in Seminario se ne insegni un’altra. E non si tratta di incidenti imprevisti.

Poi c’è la grande questione del rapporto tra la teoria e la prassi. Nel caso in parola sarà sufficiente sostenere che a Dublino padre Martin non si occuperà della dottrina morale naturale e cattolica ma che si occuperà di pastorale, così che le cose che egli dirà potranno essere dette in contrasto con quanto affermato del papa al Forum delle famiglie italiane da cui siamo partiti. É dal Vaticano II che viviamo questo equivoco, ma oggi più di sempre. Se padre Martin parlerà di integrazione, di accoglienza, di accompagnamento e di discernimento la dottrina non verrà formalmente negata ma verrà messa da parte con un “sì, ma”. Ma mettere da parte la dottrina e fare come se essa non fosse vuol dire cambiarla (senza dirlo).

E perché mai questo non dovrebbe essere permesso, se esistono “diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano”?