Newman e la condanna dell’indifferentismo religioso
Oggi, giorno della sua conversione al cattolicesimo, ricorre la memoria di san John Henry Newman, creato cardinale da Leone XIII il 12 maggio 1879. Per l’occasione, l’inglese pronunciò il famoso Discorso del biglietto che contiene una denuncia lucidissima - a tratti profetica - dell’idea di ritenere le religioni tutte uguali e dell’espulsione della fede dalla sfera pubblica
Non gode ancora di una memoria obbligatoria nel Calendario Romano Generale (dunque da celebrare in tutta la Chiesa), ma il 9 ottobre di quest’anno cade la prima ricorrenza - da canonizzato - di John Henry Newman, proclamato santo da papa Francesco il 13 ottobre 2019.
A proposito dell’attualità, davvero straordinaria, del grande convertito inglese, è opportuno richiamare il discorso che pronunciò il 12 maggio 1879, giorno in cui Leone XIII lo creò cardinale. Premettiamo una nota storica. Non fu, quella di papa Pecci, una scelta figlia di un pensiero per così dire improvviso. Tutt’altro. Poco dopo l’elezione, il 20 febbraio 1878, al Soglio pontificio, Leone XIII aveva così risposto a chi gli domandava lumi su quale sarebbe stata la linea del suo ministero petrino: «Aspettate fino a che non avrete visto il mio primo cardinale. Comprenderete allora quale sarà la nota caratteristica del mio pontificato» (cfr. John Henry Newman, Edoardo Aldo Cerrato, Edizioni San Paolo, p. 25).
Al primo concistoro del papa della Rerum Novarum il primo cardinale della lista fu, manco a dirlo, Newman. Era un modo per riconoscere l’enorme opera che questi, in quasi 34 anni di servizio dal giorno della sua conversione, aveva svolto a favore della Chiesa. Newman, al quale non erano mancati gli attacchi, ringraziò per l’onore della berretta cardinalizia pronunciando il famoso Discorso del biglietto, che contiene la denuncia di due grandi mali collegati: il liberalismo/indifferentismo religioso e il rigetto del cristianesimo da parte del potere civile.
Riguardo al primo male, già avversato nella fase di “ricerca” precedente alla conversione dall’anglicanesimo, Newman diceva:
«Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia».
Il santo si soffermava poi sulle conseguenze di questo pensiero relativista:
«Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone».
Se la fede è ridotta a fatto privato, finisce inevitabilmente per essere irrilevante nella società, che non riconosce più le verità rivelate, a partire dalle leggi e dall’educazione. Ed è il secondo grande tema affrontato da Newman:
«Finora il potere civile è stato cristiano. Anche in Nazioni separate dalla Chiesa, come nella mia, quand’ero giovane valeva ancora il detto: “Il cristianesimo è la legge del Paese”. Ora questa struttura civile della società, che è stata creazione del cristianesimo, sta rigettando il cristianesimo. Il detto, e tanti altri che ne conseguivano, è scomparso o sta scomparendo, e per la fine del secolo, se Dio non interviene, sarà del tutto dimenticato. Finora si pensava che bastasse la religione con le sue sanzioni soprannaturali ad assicurare alla nostra popolazione la legge e l’ordine; ora filosofi e politici tendono a risolvere questo problema senza l’aiuto del cristianesimo».
Ne deriva una visione del tutto orizzontale della vita:
«Al posto dell’autorità e dell’insegnamento della Chiesa, essi sostengono innanzitutto un’educazione totalmente secolarizzata, intesa a far capire ad ogni individuo che essere ordinato, laborioso e sobrio torna a suo personale vantaggio. Poi si forniscono i grandi principi che devono sostituire la religione e che le masse così educate dovrebbero seguire, le verità etiche fondamentali nel loro senso più ampio, la giustizia, la benevolenza, l’onestà, ecc; l’esperienza acquisita; e quelle leggi naturali che esistono e agiscono spontaneamente nella società e nelle cose sociali, sia fisiche che psicologiche, ad esempio, nel governo, nel commercio, nella finanza, nel campo sanitario e nei rapporti tra le Nazioni. Quanto alla religione, essa è un lusso privato, che uno può permettersi, se vuole, ma che ovviamente deve pagare, e che non può né imporre agli altri né infastidirli praticandola lui stesso».
Di fronte a questo ateismo avanzante, Newman spiega con nettezza paolina:
«Le caratteristiche generali di questa grande apostasia sono identiche dovunque; ma nei particolari variano a seconda dei Paesi. (…) non dimentichiamo che nel pensiero liberale c’è molto di buono e di vero; basta citare, ad esempio, i principi di giustizia, onestà, sobrietà, autocontrollo, benevolenza che, come ho già notato, sono tra i suoi principi più proclamati e costituiscono leggi naturali della società. È solo quando ci accorgiamo che questo bell’elenco di principi è inteso a mettere da parte e cancellare completamente la religione, che ci troviamo costretti a condannare il liberalismo. Invero, non c’è mai stato un piano del Nemico così abilmente architettato e con più grandi possibilità di riuscita (…)».
Il santo inglese si doleva, a conclusione del discorso, al pensiero delle molte anime a cui il liberalismo avrebbe nuociuto, ingannandole. Ma aggiungeva la consolante certezza della vittoria finale di Dio e della Sua Chiesa.