New Hampshire, scontata vittoria di Trump ma la corsa continua
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In New Hampshire, nelle primarie repubblicane del 23 gennaio, ha vinto Donald Trump. La strada per la nomination è in discesa. Haley rimonta, ma non basta.
In New Hampshire, nelle primarie repubblicane del 23 gennaio, ha vinto Donald Trump. È una notizia? Non era ampiamente previsto da tutti i sondaggi? Sì, ma un’analisi più attenta del voto permette di prevedere quali difficoltà o vantaggi avrà l’ex presidente repubblicano quando si voterà per le presidenziali.
Contrariamente al primo caucus dell’Iowa, quella del New Hampshire è stata una scelta fra due soli candidati. Infatti, Vivek Ramaswamy si è ritirato subito dopo la prima sconfitta. E Ron DeSantis, sorprendendo tutti quelli che avevano investito e sperato in lui come alternativa giovane a Trump, ha gettato la spugna alla vigilia del voto nel New Hampshire. La strategia di DeSantis, quella di battere Trump sul suo stesso terreno, provando ad attirare il suo stesso elettorato, non ha funzionato. La sua campagna lo ha capito già dal primo colpo subìto nel Mid West e ha deciso che non era il caso di continuare. Fra l’originale e la copia, insomma, gli elettori repubblicani preferiscono l’originale. Sia Ramaswamy che DeSantis hanno deciso, ritirandosi, di dare il loro endorsement a Trump, invitando i loro elettori a non disperdere il voto.
Si tratta di una scelta coerente con le loro idee. Ramaswamy si era presentato come il nuovo imprenditore che si dà alla politica, il nuovo arrivato lontano dalla “palude” di Washington e nei dibattiti televisivi elettorali, ha sempre difeso Trump dalle accuse dei suoi avversari. Di ruggine fra Trump e DeSantis ce n’è stata parecchia, soprattutto quando il governatore della Florida, dopo la sua rielezione trionfale, veniva visto come l’astro nascente repubblicano. Ma alla fine è difficile trovare qualche differenza fra le idee e i programmi dei due.
La corsa a due del New Hampshire aiuta tutti (anche i non americani) a far chiarezza sulla posta in gioco. Spariti i cloni di Trump, restano in lizza le due vere anime del partito, quella più nazionalista che segue l’ex presidente del Make America Great Again e quella più liberal-conservatrice che opta per l’alternativa Nikki Haley, figlia di immigrati indiani che hanno realizzato il sogno americano. Trump enfatizza la sua indole isolazionista, anche nel New Hampshire, in campagna, è stato estremamente critico sugli alleati europei che non spendono abbastanza per la loro difesa. Promette protezionismo per difendere le aziende americane e soprattutto lo stop all’immigrazione. La Haley è l’opposto: è liberoscambista, è sostenitrice di una immigrazione regolare fondata sul merito. E soprattutto, da ex ambasciatrice all’Onu (nominata da Trump), vuole un ritorno della proiezione di potenza militare americana nel mondo, a partire dal sostegno all’Ucraina, a Israele e a Taiwan.
Fra le due correnti del Partito Repubblicano, ha vinto quella di Trump, in modo abbastanza netto, anche se non così schiacciante come si prevedeva. L’ex presidente ha preso il 54,5% dei voti contro il 43,3% della Haley. La seconda è andata meglio dei sondaggi, che le attribuivano, in media, il 36% dei consensi. Ma il divario da colmare con “The Donald” è ancora troppo grande per pensare a una rimonta nei prossimi Stati in cui si voterà.
Il New Hampshire, più che l’Iowa, permette di fare alcune previsioni. Prima di tutto, se Trump vince anche in uno degli Stati della costa orientale in cui è meno popolare (lo stesso governatore repubblicano, Sununu, aveva dato il suo endorsement alla Haley), vuol dire che d’ora in avanti avrà la strada in discesa. E dovrà attendersi margini di successo sempre maggiori. La Haley non molla e sicuramente non getterà la spugna almeno fino al voto nella Carolina del Sud, il “suo” Stato, di cui è stata anche governatrice.
Per le elezioni generali di novembre è invece più difficile fare previsioni, ma un paio di dati potrebbero preoccupare Trump fin da ora: non convince molto gli indipendenti e quei repubblicani che non lo votano ora nelle primarie, più difficilmente lo voterebbero come presidente. Secondo un sondaggio AP condotto fra gli elettori delle primarie, i repubblicani dichiarati che affermano di voler votare Trump alle presidenziali anche se non lo hanno fatto nelle primarie sono il 14%, quelli che invece non lo hanno votato ora e non lo faranno neppure a novembre, sono il 21%. Fra gli indipendenti, questa percentuale cresce al 68%.
Trump si conferma, dunque, una figura di successo ma divisiva. Se e quando lo candiderà ufficialmente, il Partito Repubblicano dovrà fare di tutto per mobilitare al massimo la sua base militante, ma ha meno speranze di convincere i tiepidi e gli indipendenti.