Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
GAZA E LIBANO

Netanyahu tira dritto e ignora la comunità internazionale

Ascolta la versione audio dell'articolo

Netanyahu punta alla vittoria e ignora i richiami della comunità internazionale e della sua opinione pubblica. Gli israeliani non lasceranno la Striscia di Gaza. E proseguono la guerra in Libano. Italiani feriti da razzi (di Hezbollah).

Esteri 21_11_2024
Israele, manifestazione per gli ostaggi (La Presse)

Sordo e incurante ai richiami e alle preoccupazioni delle cancellerie e dell’opinione pubblica sia israeliana che internazionale, il primo ministro Benjamin Netanyahu prosegue dritto e irremovibile per la sua strada, incurante del rischio che il conflitto in Medio Oriente possa ulteriormente allargarsi. Il suo esercito prosegue nel cammino di morte e distruzione: alla Striscia di Gaza, ora si sono aggiunti il Libano, l’Iran e la Siria. Netanyahu pare ignorare il lungo elenco di vittime di Gaza, sembra sottovalutare anche quello dei soldati e dei poliziotti israeliani morti dopo quell'orribile 7 ottobre dello scorso anno, che nella giornata di ieri, ha raggiunto il considerevole numero di ottocento.

Durante la sua recente visita in quel che è rimasto della Striscia di Gaza, Netanyahu pare aggirarsi tra le macerie come un conquistatore. Da una postazione militare, parlando ai soldati israeliani, incitando i militari a portare a termine l'offensiva nel nord della Striscia per cancellare definitivamente Hamas, ha dichiarato che il gruppo terroristico non governerà mai più a Gaza. Ma mentre incitava le truppe nel proseguo delle ostilità, arrivavano sempre più insistenti le voci sulle difficili condizioni degli ostaggi che ormai, da oltre tredici mesi, sono detenuti in luoghi segreti dai miliziani del gruppo islamico. «Chiunque osi fare del male ai nostri ostaggi, è un uomo segnato. Li inseguiremo e li prenderemo in qualsiasi parte del mondo andranno», ha detto rivolgendosi ai militari.

La sua non è stata una visita disinteressata, ma un messaggio chiaro e forte a tutte le cancellerie, in particolare ai negoziatori per un cessate il fuoco: le truppe israeliane sono nella Striscia e vi rimarranno. Non è un caso, che nel corridoio di Netzarim, una strada lunga quattordici chilometri al confine tra Gaza e l'Egitto e unica arteria per entrare nell'enclave senza passare da Israele, le truppe israeliane siano state rafforzate. Per controllarne l'accesso hanno costruito una serie di infrastrutture per una presenza semi-permanente, sebbene Hamas abbia sempre insistito affinché l’Idf si ritiri completamente in caso di cessate il fuoco e di accordo per il rilascio degli ostaggi.

E proprio pensando alla liberazione degli ostaggi, visto che l'operazione di terra ha dato risultati infruttuosi, il primo ministro israeliano ha pensato bene, come abitualmente fanno il Mossad e lo Shin Bet per ottenere informazioni dai palestinesi, di offrire cinque milioni di dollari e un lasciapassare sicuro per uscire da Gaza a chiunque consegni un ostaggio. Un’offerta più modesta già esiste, ma non ha prodotto esiti positivi. Si ritiene che 97 dei 251 ostaggi rapiti da Hamas siano ancora a Gaza, compresi i corpi di altri 34. Hamas detiene anche due civili israeliani entrati nella Striscia nel 2014 e nel 2015, nonché i corpi di due soldati israeliani uccisi nel 2014.

Nel frattempo, l’esercito ebraico ha preso d'assedio l’ospedale di Kamal Adwan, nel nord di Gaza, proprio nell'area che le Nazioni Unite dichiarano essere quella maggiormente sotto attacco e dove la popolazione lotta per la sopravvivenza. «Cibo e forniture mediche avrebbero dovuto essere consegnati all'ospedale Kamal Adwan, ma i nostri volontari affermano che gli operatori sono stati costretti a scaricare i viveri presso un posto di blocco militare israeliano prima di raggiungere l'ospedale e solo una parte delle forniture mediche ha potuto essere consegnata alla struttura», ha dichiarato Stephane Dujarric, dell'Ufficio delle Nazioni Unite, conosciuto con la sigla Ocha. Il numero dei morti a Gaza è impressionante: 43.985 in poco più di tredici mesi di guerra, la cifra comprende oltre diciassettemila bambini, mentre i feriti ammontano a 104.092 unità.

Ma anche nel Libano non c'è pace. Nonostante le assicurazioni di Netanyahu al ministro degli Esteri e vicepremier italiano, Antonio Tajani, che i militari della missione Unifil non sarebbero stati coinvolti nello scontro con gli Hezbollah, così non è stato. Ancora una volta la missione Unifil è stata presa di mira a Shama, nel sud del Libano, da alcuni razzi. L'esercito israeliano ha affermato di essere estraneo al lancio dei missili, indicando come autore dell’attacco l'organizzazione terroristica che avrebbe utilizzato una postazione di lancio situata Al Malkia. I razzi hanno preso di mira alcune aree all'aperto e un deposito di ricambi, dove, fortunatamente, non erano presenti i militari. Cinque soldati italiani sono ora sotto osservazione nell'infermeria della base, ma fortunatamente le loro condizioni non destano particolari preoccupazioni.

Prosegue, nel frattempo, la missione diplomatica dell'inviato dell'Amministrazione americana, Amos Hochstein, in Libano, che ha posto in evidenza i progressi per il cessate il fuoco in Libano, durante il suo nuovo incontro con il presidente del Parlamento libanese, Nabih Berri. A tal proposito, parlando davanti a circa cento ambasciatori stranieri convocati a Gerusalemme, il ministro degli Esteri, Gideon Sa'ar, ha affermato che Israele vorrebbe raggiungere, al più presto, un accordo duraturo con il Libano. Netanyahu ha però dichiarato: «La cosa più importante non è l'accordo, anche se sarà raggiunto e sottoscritto. Qualora ci fosse un documento che stabilisce un accordo, per quanto degno possa essere, saremo tenuti, per garantire la nostra sicurezza nel nord di Israele, a svolgere regolarmente operazioni, non solo contro gli attacchi di Hezbollah che potrebbero arrivare, ma contro chiunque minaccerà la sicurezza d’Israele». E ha poi concluso: «Anche se ci fosse un cessate il fuoco, nessuno può garantire che reggerà. Quindi non è solo la nostra reazione, una reazione preventiva, una reazione sulla scia dell'attacco, ma anche la capacità di impedire a Hezbollah di rafforzarsi. Non permetteremo che Hezbollah torni allo stato in cui si trovava il 6 ottobre 2023».